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postillava, copiava: copiò tutto Terenzio. In questa intima familiarità co’ più grandi scrittori dell’antichità greco-latina tutto quel tempo di poi che fu detto il medio evo, gli apparve una lunga barbarie, di Dante stesso ebbe assai poca stima; gli stranieri chiamava barbari; gl’italiani chiamava latin sangue gentile; voleva una ristaurazione dell’antichità, e che non fosse ancora fattibile, ne accagiona la corruttela de’ costumi. Era Petracco e si fece chiamare Petrarca; sbattezzò i suoi amici e li chiamò Socrati e Lelii, ed essi sbattezzarono lui e lo chiamarono Cicerone. Conchiuse la sua vita scrivendo epistole a Cicerone, a Seneca, a Quintiliano, a Tito Livio, ad Orazio, a Virgilio, ad Omero, co’ quali viveva in ispirito, e poco innanzi di morire, scrisse una lettera alla Posterità, alla quale raccomanda la sua memoria.
Così appariva l’aurora del Rinnovamento. L’Italia volgeva le spalle al medio evo, e dopo tante vicissitudini ritrovava sè stessa, e si affermava popolo romano e latino. Questo proclamava Cola da Rienzo dall’alto del Campidoglio. Guelfi e ghibellini divennero nomi vieti; gli scolastici cessero il campo agli eruditi e a’ letterati; la teologia fu segregata dagli studii di coltura generale e divenne scienza de’ chierici; la filosofia conquistò il primato in tutto lo scibile; le allegorie, le visioni, le estasi, le leggende, i miti, i misteri, separati dal tronco in cui vivevano, divennero forme puramente letterarie e d’imitazione; tutto quel mondo teologico, mistico nel concetto, scolastico e allegorico nelle forme, fu tenuto barbarie da uomini che erano già in grado di gustare Virgilio e Omero.
Questa nuova Italia, che ripiglia le sue tradizioni e si sente romana e latina e si pone nella sua personalità di rincontro agli altri popoli, tutti stranieri e barbari, ispira al giovine Petrarca la sua prima canzone. Qui non ci è più il guelfo o il ghibellino, non il romano o il fioren-