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circoscritta nell’Italia centrale. La scuola del nuovo stile non avea fatto ancora sentire la sua azione nelle rimanenti parti d’Italia, dove la lingua dominante era sempre il latino scolastico ed ecclesiastico. Malgrado l’esempio di Dante, non era ancora stabilito che in rima si potesse scrivere d’altro che di cose d’amore. E in questa sentenza era anche Cino da Pistoja, solo superstite di quella scuola immortale, dalla quale era uscita la Commedia. Compariva sulla scena la nuova generazione.
Lo studio de’ classici, la scoperta de’ nuovi capilavori, una maggior pulitezza nella superficie della vita, la fine delle lotte politiche col trionfo de’ guelfi, la maggior diffusione della coltura sono i tratti caratteristici di questa nuova situazione. La situazione si fa più levigata, il gusto più corretto, sorge la coscienza puramente letteraria, il culto della forma per sè stessa. Gli scrittori non pensarono più a render le loro idee in quella forma più viva e rapida che si offrisse loro innanzi; ma cercarono la bellezza e l’eleganza della forma. Dimesticatisi con Livio, Cicerone, Virgilio parve loro barbaro il latino di Dante; ebbero in dispregio quei trattati e quelle storie che erano state l’ammirazione della forte generazione scomparsa, e non poterono tollerare il latino degli Scolastici e della Bibbia. Intenti più alla forma che al contenuto, poco loro importava la materia, pur che lo stile ritraesse della classica eleganza. Così sorsero i primi puristi e letterati in Italia, e capi furono Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio.
Nel Petrarca si manifesta energicamente questo carattere della nuova generazione. Fece lunghi e faticosi viaggi per iscoprire le opere di Varrone, le storie di Plinio, la seconda deca di Livio; trovò le epistole di Cicerone e due sue orazioni. Dobbiamo a’ suoi conforti e alla sua liberalità la prima versione di Omero e di parecchi scritti di Platone. Scopritore instancabile di codici, emendava,