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Guardando nel suo figlio con l’Amore
Che l’una e l’altro eternalmente spira
Lo primo e ineffabile Valore,
Quanto per mente e per occhio si gira,
Con tant’ordine fe’ ch’esser non puote
Senza gustar di lui chi ciò rimira.

Questa forma poetica della scienza, questa visione intellettuale, abbozzata nel Tesoretto, è condotta qui a molta perfezione. È un certo modo di situare l’oggetto e metterlo in vista, sì che l’occhio dell’immaginazione lo comprenda tutto. Se ci è cosa che ripugna a questa forma, è lo scolasticismo con la barbarie delle sue formole e le sue astrazioni; ma l’imaginazione vi fa penetrare l’aria e la luce: miracolo prodotto dalle due grandi potenze della mente dantesca, la virtù sintetica e la virtù formativa. Veggasi la stupenda descrizione che fa Beatrice del moto degli astri di poco inferiore alla storia del processo creativo, il capolavoro di questo genere. Qui la scienza della creazione è abbracciata in un solo girar d’occhio, con sì stretta e rapida concatenazione che tutto il creato ti sta innanzi come una sola idea semplice. Ci sono concetti difficilissimi ad esprimersi, come l’unità della luce nella sua diversità, e l’imperfezione della natura, che non ti dà mai realizzato l’ideale. I concetti qui non sono astrazioni, ma forze vive, gli attori della creazione, la luce, il cielo, la natura, e non hai un ragionamento; hai una storia animata, con una chiarezza e vigore di rappresentazione che fa di Dio e della natura vere persone poetiche:

Ciò che non nasce e ciò che può morire
Non è se non splendor di quell’idea,
Che partorisce amando il nostro Sire.
Che quella viva luce che si mea
Dal suo Lucente, che non si disuna
Da lui, nè dall’amor che in lor s’intrea;