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rità rivelata, oscura all’intelletto, visibile al cuore, avvalorato dalla fede, confortato dalla speranza, infiammato dalla carità1; in questa scienza della creazione il pensiero è talmente concretato e incorporato, che il poeta può contemplarlo come cosa vivente, come natura. Perciò la forma scientifica è qui meno un ragionamento che una descrizione, come di cosa che si vede e non si dimostra. Il perfetto vedere de’ Beati è privilegio di Dante; nessuno gli sta del pari nella forza e chiarezza della visione. Spirito dommatico, credente e poetico, predica dal paradiso la verità assoluta, e non la pensa, la scolpisce. Diresti che pensi con l’immaginazione, aguzzata dalla grandezza e verità dello spettacolo. Nascono ardite metafore e maravigliose comparazioni. L’accordo della prescienza col libero arbitrio è una delle concezioni più difficili e astruse; ma qui non è una concezione, è una visione, uno spettacolo: così potente è questa immaginazione dantesca:

La contingenza che fuor del quaderno
Della vostra materia non si stende,
Tutta è dipinta nel cospetto eterno.
Necessità però quindi non prende,
Se non come dal viso in che si specchia
Nave che per corrente giù discende.
Da indi, sì come viene ad orecchia
Dolce armonia da organo, mi viene
A vista il tempo che ti si apparecchia.

Il poeta procede per deduzione, guardando le cose dall’alto del paradiso, da cui dechina via via fino alle ultime conseguenze: forma contemplativa e dommatica, anzi che discorsiva e dimostrativa e propria della poesia, presentando all’immaginazione vasti orizzonti in una sola comprensione:

  1. Vedi i canti XIII, II, XXX, XXXIII, X, XXVIII e XXIX, XXVII, VII, XIV, XXV, XXVI.