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gruppi d’anime, che esprimono i loro pensieri co’ loro moti e atteggiamenti. A rendere intelligibili le parvenze di questo mondo di luce, il poeta si tira appresso la natura terrestre e ne coglie i fenomeni più fuggevoli, più delicati, e ne fa lo specchio della natura celeste. Così rientra la terra in paradiso, non come sostanziale, ma come immagine, parvenze delle parvenze celesti. È la terra che rende amabile questo paradiso di Dante; è il sentimento della natura che diffonde la vita tra queste combinazioni ingegnose e simboliche. La terra ha pure la sua parte di paradiso, ed è in quei fenomeni che inebbriano, innalzano l’animo e lo spongono alla tenerezza e all’amore: trovi qui tutto che in terra è di più eterno, di più sfumato, di più soave. E come l’impressione estetica nasce appunto da questo profondo sentimento della natura terrestre, avviene che il lettore ricorda il paragone, senza quasi più sapere a che cosa si riferisca. Questi paragoni di Dante sono le vere gemme del paradiso:

Come a raggio di sol che puro mei
Per fratta nube, già prato di fiori
Vider coverti d’ombra gli occhi miei;
Vid’io così più turbe di splendori
Fulgorato di su da’ raggi ardenti,
Senza veder principio di fulgori. (c. XXIII.)
Siccome il Sol che si cela egli stessi
Per troppa luce, quando il caldo ha rose
Le temperanze de’ vapori spessi.
Per più letizia sì mi si nascose
Dentro al suo raggio la figura santa
E così chiusa chiusa mi rispose. (c. V.)
Come l’augello, intra l’amate fronde,
Posato al nido de’ suoi dolci nati,
La notte che le cose ci nasconde,
Che per veder gli aspetti desïati
E per trovar lo cibo onde gli pasca,
In che i gravi labori gli sono grati,