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differenze qualitative, ma unicamente quantitative, un più e un meno. Prima la luce non è così viva che celi la faccia umana; più si sale e più la luce occulta le forme come in un santuario. Come è la luce, così è il riso di Beatrice, un crescendo superiore ad ogni determinazione; la fantasia formando non può seguire l’intelletto che distingue. Bene il poeta vi adopera l’estremo del suo ingegno, conscio della grandezza e difficoltà dell’impresa:

L’acqua che io prendo giammai non si corse;
Minerva spira e conducemi Apollo,
E nuove Muse mi dimostran l’Orse.

Dapprima caldo di questo mondo, sua fattura, allettato dalla novità o dal maraviglioso de’ fenomeni che gli si affacciano, le immagini gli escono vivaci, peregrine; poi quasi stanco diviene arido e da in sottigliezze1; ma lo vedi rivelarsi e poggiare più e più a inarrivabile altezza, sereno, estatico; diresti che la difficoltà lo alletti, la novità lo rinfranchi, l’infinito lo esalti.

Il paradiso propriamente detto è il cielo empireo, immobile e che tutto move, centro dell’universo. Ivi sono gli spiriti, ma secondo i gradi de’ loro meriti e della loro beatitudine appariscono ne’ nove cieli che girano intorno alla terra, La Luna, Mercurio, Venere, il Sole, Marte, Giove, Saturno, le stelle fisse e il Primo mobile. Ne’ primi sette cieli che sono i sette pianeti, ti sta avanti tutta

  1. Ecco esempi di aridità e di sottigliezze:

    .    .    .    .    e quale io allor vidi
    Negli occhi santi amor, qui l’abbandono. (c. XVIII.)
    E gli occhi avea di letizia sì pieni,
    Che passar mi convien senza costrutto, (c. XXXIII.)
    E tal nella sembianza sua divenne
    Qual diverrebbe Giove, s’egli e Marte
    Fossero augelli e cambiasser penne. (c. XXVII.)
    Poscia tra esse un lume si schiarì,
    Sì che se il cancro avesse un tal cristallo,
    Il verno avrebbe un mese di un sol dì. (c. XXV.)