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termine, quando l’anima si leva con libera volontà a miglior soglia, tolte le schiume della coscienza, con pura letizia. Così come nell’inferno si scende sino al pozzo ghiacciato della morte, nel purgatorio si sale sino al paradiso terrestre, immagine terrena del paradiso, dove l’anima è monda del peccato o della carne, è rifatta bella e innocente. Tutto è qui che alletti lo sguardo e lusinghi l’immaginazione; riso di cielo, canti di uccelli, vaghezza di fiori, e tremolar di fronde e mormorare di acque, descritto con dolcezza e melodia, ma insieme con tale austera misura, che non dà luogo a mollezza ed ebbrezza di sensi, nè il diletto turba la calma.
Il purgatorio è il centro di questo mistero o commedia dell’anima; è qua che il nodo si scioglie. Dante più che spettatore, è attore. Uscito dall’inferno, appena all’ingresso del purgatorio, l’Angiolo incide sulla sua fronte sette P, che sono i sette peccati mortali, che si purgano ne’ sette giorni. Da un girone all’altro una P scomparisce dalla fronte, finchè van via tutte, e puro e rinnovellato giunge al paradiso terrestre. Passa da uno stato nell’altro in sonno, cioè a dire per virtù della grazia, senza sua coscienza. È Lucia, nemica di ciascun crudele, che lo piglia dormente e sognante, e lo conduce in purgatorio. Così la storia intima dell’anima, i suoi errori, le passioni, i traviamenti, i pentimenti, sono storia esterna e simbolica; il dramma è strozzato nella sua culla. La crisi del dramma, il punto in cui il nodo si scioglie, è il pentimento, l’anima che si riconosce, e caccia via da sè il peccato, e si pente e si vergogna e ne fa confessione. A questo punto il dramma si fa umano, e ciò che avrebbe potuto far Dante, si vede da quello che ha fatto qui; ma una storia intima, personale, drammatica dell’anima, com’è il Faust, non era possibile in tempi ancora epici, simbolici, mistici e scolastici.
Qui tutt’i personaggi del dramma si trovano a fronte.