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beo della più bassa lega: sia esempio la rissa tra Sinone e maestro Adamo. Si rimane nel buffonesco, l’infimo grado del comico. Quest’uomo, così possente creatore d’immagini nell’inferno tragico, qui si sente arido, freddo in un mondo non suo. Le situazioni sono comiche, ma il comico è rozzamente formato, e non è artistico, non ha la sua immagine che è la caricatura, nè la sua impressione che è il riso. Due persone in rissa cadono in un lago d’acqua bollente che li divide. Situazione comica, se mai ce ne fu. Il poeta dice:

Lo caldo schermidor subito fue.

Espressione vivace, ma che non sveglia nessuna immagine e ti lascia freddo. Non ha saputo cogliere quel movimento, quella smorfia che fanno quando si sentono scottare e si sciolgono. La pancia di mastro Adamo che sotto il pugno di Sinone sonò come fosse un tamburo, è una felice caricatura; ma è una freddura il dire:

E mastro Adamo gli percosse il volto
Col braccio suo che non parve men duro.

Manca spesso a Dante la caricatura, e i suoi versi più comici non fanno ridere. Perchè a fare la caricatura bisogna fermare l’immaginazione nell’oggetto comico, spassarcisi, obbliarsi in quello, alzarlo a contro-modello. Dante non ha questo sublime obblio comico, non ha indulgenza, nè amabilità. Teme di sporcarsi tra quella gente, e se ode, se ne fa rimproverare da Virgilio, e se ci sta, se ne scusa; ah fera compagnia! ma in chiesa co’ santi e in taverna co’ ghiottoni. Il suo riso è amaro; di sotto alla facezia spunta il disdegno; e spesso nella mano la sferza gli si muta in pugnale.

Il riso muore, quando il personaggio comico ha coscienza del suo vizio, e non che sentirne vergogna vi si pone al di sopra e ne fa il suo piedistallo. Allora non