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di venire alla luce. In quel diverse voci, orribili favelle ec. non ci è solo il grido de’ negligenti; ci è lì tutto l’inferno, che manda il suo primo grido. Quel canto del sublime è una sola nota musicale variamente graduata, è l’eterno, il tenebroso, il terribile, l’infinito dell’inferno che invade e ispira il poeta e vien fuori co’ vivi colori della prima impressione, è il vero canto del regno dei morti, della morta gente, è l’albero della vita, che il poeta sfronda a foglia a foglia ad ogni passo che fa e ne toglie la speranza:

Lasciate ogni speranza voi che entrate.


E ne toglie le stelle:

Risonavan per l’aer senza stelle.


E ne toglie il tempo:

Facevano un tumulto il qual s’aggira
Sempre in quell’aria senza tempo tinta.


E ne toglie il cielo:

Non isperate mai veder lo cielo.


E ne toglie Dio:

Ch’hanno perduto il ben dello intelletto.

Questa natura sublime dapprima è indeterminata, senza contorni, cerchio, loco, null’altro: la diresti natura vuota, se non la riempissero l’eternità e le tenebre e la morte e la disperazione. Nel regno de’ violenti prende una forma. Si esce dal sublime: si entra nel bello negativo. Incontri tutto ciò che è figura, ordine, regolarità, proporzione in terra; anzi con vocabolo umano è chiamata città, la città di Dite. Vedi selve, laghi, sepolcri; e l’effetto poetico