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con la tempra energica del gran poeta e de’ suoi contemporanei. A quegli uomini vestiti di ferro anima e corpo questi esseri passivi e insignificanti doveano ispirare il più alto dispregio. E il dispregio fa trovare a Dante frasi roventi. Sono uomini che vissero senza infamia e senza lode, anzi non fur mai vivi. La loro pena è di essere stimolati continuamente, essi che non sentirono stimolo alcuno nel mondo. La pena è minima, eppure tale è la loro fiacchezza morale, sono così vinti nel duolo, che lacrimano e gettano le alte strida, che fanno tumultuare l’aria come la rena quando il turbo spira. A’ loro piedi è la loro immagine, il verme. Turba infinita, senza nome: appena accenna ad un solo, e senza nominarlo, colui che fece per viltate il gran rifiuto.

Il loro supplizio è la coscienza della loro viltà, il sentirsi dispregiati, cacciati dal cielo e dall’inferno. Ritratto immortale, e popolarissimo, di cui alcuni tratti sono rimasti proverbiali. Esseri poetici, appunto perchè assolutamente prosaici, la negazione della poesia e della vita: onde nasce il sublime negativo degli ultimi tre versi:

Fama di loro il mondo esser non lassa
Misericordia e giustizia gli sdegna.
Non ragioniam di lor; ma guarda e passa.

Se i negligenti non sono nell’inferno, perchè mancò loro la forza del bene e del male, gl’innocenti e i virtuosi non battezzati non sono in paradiso perchè mancò loro la fede, sono nel Limbo. E anche qui il concetto teologico ci sta per memoria, per semplice classificazione. La poesia nasce da altre impressioni e da altri criterii. Il valore poetico dell’uomo non è nella sua moralità e nella sua fede, ma nella sua energia vitale; non è una idea, ma una forza il personaggio poetico. Perciò il negligente, considerato esteticamente, è un sublime negativo, la negazione della forza, il non esser vivo. E