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ra, trasportandola nel suo seno e ponendole dirimpetto l’immagine dell’infinito, ne scopre il vano e il nulla: gli uomini sono gli stessi in un diverso teatro, che è la loro ironia. Questa unità e dualità uscente dall’imo stesso della situazione balena al di fuori nelle più varie forme, ora in un’apostrofe, ora in un discorso, ora in un gesto, ora in un’azione, ora nella natura, ora nell’uomo, in questa unità penetra la più grande varietà, nè è facile trovare un lavoro artistico, in cui il limite sia così preciso e così largo. Niente è nell’argomento che costringa il poeta a preferire il tal personaggio, il tal tempo, la tale azione; tutta la storia, tutti gli aspetti sotto a’ quali si è mostrata l’umanità, sono a sua scelta; e può abbandonarsi a suo talento alle sue ire e alle sue opinioni, e può intramettere nello scopo generale fini particolari, senza che ne scapiti l’unità. Il che dà al suo universo compiuta realità poetica, veggendosi nella permanente unità tutto ciò che sorge e dalla libertà dell’umana persona e dall’accidente, e moversi con vario gioco tutt’i contrasti, e il necessario congiunto col libero arbitrio, e il fato col caso.

Adunque, che poesia è codesta? Ci è materia epica, e non è epopea; ci è una situazione lirica e non è lirica: ci è un ordito drammatico, e non è dramma. È una di quelle costruzioni gigantesche e primitive, vere enciclopedie, bibbie nazionali, non questo o quel genere, ma il Tutto, che contiene nel suo grembo ancora involute tutta la materia e tutte le forme poetiche, il germe di ogni sviluppo ulteriore. Perciò nessun genere di poesia vi è distinto ed esplicato; l’uno entra nell’altro, l’uno si compie nell’altro. Come i due mondi sono in modo immedesimati, che non puoi dire: qui è l’uno, e qui è l’altro; così i diversi generi sono fusi di maniera, che nessuno può segnare i confini che li dividono, nè dire: questo è assolutamente epico, e questo è drammatico.

È il contenuto universale, di cui tutte le poesie non