compiutamente armonico, non è schietta poesia. La falsa coscienza poetica disturba l’opera di quella geniale spontaneità; e vi gitta dentro un tentennare, un non so che di mal sicuro e di non compiuto, una mescolanza e crudezza di colori. Il pensiero, ora nella sua crudità scolastica, ora abbellito d’immagini che pur non bastano a vincere la sua astrattezza, vi ha troppo gran parte. Le sue figure allegoriche ricordano talora più i mostri orientali che la schietta bellezza greca, personificazioni astratte, anzi che persone conscie e libere. Preoccupato del secondo senso che ha in mente, spesso gli escono particolari estranei alla figura, che turbano e distruggono il lettore e gli rompono l’illusione. La presenza perenne di un altro senso che aleggia al di sopra della rappresentazione ed introducevisi a quando a quando, ne turba la chiarezza e l’armonia. Anche lo stile, inviluppato alcuna volta in rapporti lontani e sottili, perde la sua lucidità e riesce intralciato e torbido. Non è un tempio greco; è un tempio gotico, pieno di grandi ombre, dove contrari elementi pugnano, non bene armonizzati. Or rozzo, or delicato. Ora poeta solenne, or popolare. Ora perde di vista il vero e si abbandona a sottigliezze; ora lo intuisce rapidamente, e lo esprime con semplicità. Ora rozzo cronista, ora pittore finito. Ora si perde nelle astrattezze, ora di mezzo a quelle fa germogliare la vita. Qui cade in puerilità, là spicca il volo a sopraumane altezze. Mentre tien dietro a un sillogismo, brilla la luce dell’immagine. E mentre teologizza, scoppia la fiamma del sentimento. Talora ti trovi innanzi ad una fredda allegoria, quando tutto ad un tratto vi senti dentro tremare la carne. Talora la sua credulità ti fa sorridere, talora la sua audacia ti fa stupire. Fu un piccolo mondo, dove si rifletteva tutta l’esistenza, com’era allora. I contrari elementi, che fermentavano in una società ancora nello stato di formazione, contendevano in lui. E senza