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gini, avvezzava gli spiriti a staccarsi dal reale. L’altra viveva di astrazioni e di formole, e di citazioni, drizzando l’intelletto a sottilizzare intorno a’ nomi e alle vacue generalità che si chiamavano essenze. Gli spiriti erano tirati verso il generale, più disposti a idealizzare che a realizzare: ciò che è proprio il contrario dell’arte. Nei poeti semplici trovi il reale rozzo, senza formazione, come ne’ misteri, nelle visioni, nelle leggende. Ne’ poeti solenni trovi una forma o crudamente didascalica, o figurativa e allegorica. L’arte non era nata ancora. C’era la figura; non c’era la realtà nella sua libertà e personalità.

Dante raccoglie da’ misteri la commedia dell’anima, e fa di questa storia il centro di una sua visione dell’altro mondo. Tutta questa rappresentazione non è che senso letterale; la visione è allegorica, i personaggi sono figure e non persone; ma ciò che è attivo nel suo spirito, lo porta verso la figura e non verso il figurato. La sua natura poetica, tirata per forza nelle astrattezze teologiche e scolastiche, ricalcitra e popola il suo cervello di fantasmi, e lo costringe a concretare, a materializzare, a formare anche ciò che è più spirituale e impalpabile, anche Dio. Quel mondo letterale lo ammalia, lo perseguita, lo assedia e non posa che non abbia ricevuta la sua forma definitiva; e non è più lettera, ma è spirito, non è più figura, ma è realtà, è un mondo in se compiuto e intelligibile, perfettamente realizzato. Visione e allegoria, trattato e leggenda, cronache, storie, laude, inni, misticismo e scolasticismo, tutte le forme letterarie e tutta la cultura dell’età sta qui dentro inviluppata e vivificata, in questo gran mistero dell’anima o dell’umanità, poema universale, dove si riflettono tutt’i popoli e tutti i secoli che si chiamano il medio evo.

Ma questo mondo artistico, uscito da una contraddizione tra l’intenzione del poeta e la sua opera, non è

 F. De Sanctis ― Lett. Ital. Vol. I 12