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mondi, l’uno visibile e l’altro invisibile; ciascuno si provò ad alzare un lembo del velo di cui si è ravvolto il Dio. Ma nè acutezza d’ingegno, nè copia di dottrina, nè profonda conoscenza di quei tempi, nè studio paziente delle altre sue opere hanno potuto trarci fuori delle ipotesi e delle congetture. Gli antichi interpreti dissentivano nei particolari; il dissenso de’ moderni è più profondo; hai interi sistemi che si confutano a vicenda. Oggi ancora non si pubblica un Dante in Germania che non ci si appicchino nuove spiegazioni; non puoi leggere una critica della Commedia, che non ti trovi ingolfato in un pelago di quistioni. Dante è divenuto un nome che spaventa, irto di sillogismi e soprasensi, e spesso sei ridotto a domandarti: Qual è il vero Dante? Poichè ciascun comentatore ha il suo, ciascuno gli appicca le opinioni e passioni sue, e lo fa cantare a suo modo, e chi ne fa un apostolo di libertà, di umanità, di nazionalità, chi un precursore di Lutero, chi un santo Padre. Cercano Dante dove non è, cercano i suoi pregi dove sono i suoi difetti, e qual maraviglia che il Lamartine alla sua volta cercandolo colà e non vel trovando, si sia affrettato a conchiudere: dunque Dante non esiste? Io ne conchiudo: Poichè non è là, cerchiamolo altrove. La grandezza del Dio non è nel santuario, ma là dove si mostra con tanta pompa al di fuori. A forza di cercar maraviglie in un mondo ipotetico, non vediamo quelle che ci si affacciano innanzi. Parlando a coro della dignità della Commedia e de’ veri e del senso arcano, si è data una importanza fattizia a questo mondo intellettuale allegorico, se non fosse per altro, per la fatica che ci si è spesa. Se Dante tornasse in vita, sentendo a dire che Beatrice è l’eresia o la sua anima, che le arpie sono i monaci domenicani, che Lucifero è il Papa, che il suo vocabolario è un gergo settario, e vedendo quanti sensi occulti gli sono affibbiati, potrebbe a più d’uno tirargli le orecchie e dire: