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Ma Dante meditandovi sopra, e non come poeta, ma come filosofo, valicò l’argomento. Non è contento che la ci sia, ma la mostra e la spiega. E non si contenta neppure di questo. Quella idea diviene la filosofia, tutto un sistema di concetti ben coordinato, e non è più la base, il senso interiore dell’altro mondo, a quel modo che lo spirito è nella natura, ma è essa il contenuto, essa l’argomento, essa lo scopo. Così quella vivace realtà si va ad evaporare in una generalità filosofica, e il lavoro diviene un insegnamento morale-politico sotto il velo dell’altro mondo. Il poeta spontaneo e popolare si volta nel poeta dotto e solenne. Descrivere l’altro mondo così alla semplice e nel suo senso immediato gli pare un frivolo passatempo, la maniera de’ narratori volgari. La lettera ci è, ma è per i profani, per gli uomini semplici, che non vedono di là dell’apparenza. Ma egli scrive per gli iniziati, per gl’intelletti sani, e loro raccomanda di non fermarsi alla corteccia, di guardare di là! E tutti si son messi a guardare di là.

Così sono nati due mondi danteschi, uno letterale e apparente, l’altro occulto, la figura e il figurato. E poichè l’interesse è in questo senso occulto, in questo di là, i dotti si son messi a cercarlo. L’hanno cercato, e non l’hanno trovato, e dopo tante dispute e vane congetture esce infine il buon senso, esce Voltaire e dice: Gl’italiani lo chiamano divino; ma è una divinità occulta; pochi intendono i suoi oracoli; la sua fama si manterrà sempre, perchè nessuno lo legge. E Voltaire vuol dire: Abbiamo sudato parecchi secoli per capirti: e poichè non ti vuoi far capire, statti con Dio. E vuol dire ancora: Ne val poi la pena? è una falsa divinità quella che rimane nascosta. Pure nè il veto del Voltaire valse ad arrestare le ricerche, nè il suo disprezzo ad intiepidire l’ammirazione. Con nuovo ardore italiani e stranieri si misero a interpretare questo Giano a due facce o piuttosto a due