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bella all’allegoria. La favola, ciò ch’egli chiama bella menzogna, lo scalda, lo soverchia, e vi si lascia in dietro come innamorato, nè sa creare a metà, arrestarsi a mezza via. Nel caldo dell’ispirazione non gli è possibile starsi col secondo senso innanzi, e formar figure mozze, che vi rispondono appuntino, particolare con particolare, accessorio con accessorio, come riesce a’ mediocri. La realtà straripa, oltrepassa l’allegoria, diviene sè stessa; il figurato scompare, in tanta pienezza di vita, fra tanti particolari. Indi la disperazione de’ comentatori: egli fece il suo mondo, e lo abbandonò alle dispute degli uomini.

Per metter d’accordo la sua poetica con la sua poesia, Dante sostiene nel Convito che il senso letterale dee essere indipendente dall’allegorico, di modo che sia intelligibile per sè stesso. Con questa scappatoia si è salvato dalle strette dell’allegoria, ed ha conquistato la sua libertà d’ispirazione, la libertà e indipendenza delle sue creature. Sia pure l’altro mondo figura della scienza; ma è prima e innanzi tutto l’altro mondo, e Virgilio è Virgilio, e Beatrice è Beatrice, e Dante è Dante, e se d’alcuna cosa ci dogliamo, è quando il secondo senso vi si ficca dentro e sconcia l’immagine e guasta l’illusione.

Sicchè nella Commedia come in tutt’i lavori d’arte, si ha a distinguere il mondo intenzionale e il mondo effettivo, ciò che il poeta ha voluto, e ciò che ha fatto. L’uomo non fa quello che vuole, ma quello che può. Il poeta si mette all’opera con la poetica, le forme, le idee e le preoccupazioni del tempo; e meno è artista, più il suo mondo intenzionale è reso con esattezza. Vedete Brunetto e Frezzi. Ivi, tutto è chiaro, logico e concorde: la realtà è una mera figura. Ma se il poeta è artista, scoppia la contraddizione, vien fuori non il mondo della sua intenzione, ma il mondo dell’arte.

Come l’argomento siasi affacciato a Dante non è chiaro. Le memorie secrete del genio non sono scritte an-