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narchia un’ampiezza ed unità di disegno ed una concordanza di parti, che ti fa indovinare il grande architetto dell’altro mondo.

I difetti delle opere latine sono comuni al Convito, e gl’intralciano lo stile, e gl’impediscono quell’andamento naturale e piano del discorso, che potea renderlo accessibile agl’illetterati, a’ quali era destinato. La sua teoria della lingua illustre lo allontana da quello andare soave e semplice della prosa volgare, e quando gli altri volgarizzano il latino, egli latinizza il volgare, cercando nobiltà e maestà nelle perifrasi, ne’ contorcimenti e nelle inversioni. Usa una lingua ibrida, non italiana e non latina, spogliata di tutte le movenze e attitudini vivaci del dialetto, e lontana da quella dignità e misura, che ammira nel latino, e a cui tende con visibile e infelice sforzo. Se la natura gli avesse concesso un più squisito senso artistico, avrebbe forse potuto essere fondatore della prosa. Ma gli manca la grazia, e senti la rozzezza nello sforzo della eleganza. Salvo qualche raro intervallo, che la passione lo scalda e lo fa eloquente, la sua prosa, come la sua lirica, fa desiderare l’artista.

Vocazione di Dante non fu la filosofia, e non fu la prosa. Quello ch’egli cercava, non potè realizzarlo come scienza e come prosa.

Che cerchi? Gli domandò un frate. Rispose: Pace. E questo cercavano tutt’i contemporanei. Pace era concordia del regno terrestre col regno celeste, dell’anima con Dio, il regno di Dio sulla terra. Adveniat regnum tuum. Pace vera quaggiù non può essere; vera pace è in Dio, nel mondo celeste; Beatrice morendo parea che dicesse: Io sono in pace. La vita è una prova, un tirocinio, per accostarsi quanto si può all’ideale celeste, e meritarsi l’eterna pace.

Lo scopo della vita è la salvazione dell’anima, la pace dell’anima nel mondo celeste. Vivere è morire alla terra per vivere in cielo. La vita è la storia dell’anima, è un