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sari. Il Podestà andava procurando in aiuto di messer Carlo.»

Carlo manda i suoi a’ Priori, per occupare il giorno e il loro proponimento con lunghe parole. Giuravano che il loro Signore si tenea tradito, e che farebbe la vendetta grande. Tenete per fermo che se il nostro Signore non ha cuore di vendicare il misfatto a vostro modo, fateci levare la testa. E ora che scrive, Dino aggiunge: E non giurò messer Carlo il vero, perchè Corso Donati di sua saputa venne».

Carlo è pronto ad armare i suoi cavalieri e vendicare il comune, ma ad un patto, che si dieno a lui in custodia i più potenti uomini delle due parti. E Dino consente.

«I Neri vi andarono con fidanza, i Bianchi con temenza. Messer Carlo li fece guardare, i Neri lasciò partire, ma i Bianchi ritenne presi quella notte senza paglia e senza materasso, come uomini micidiali».

Qui Dino non ne può più e prorompe: «O buono re Luigi, che tanto temesti Iddio, ov’è la fede della real casa di Francia, caduta per mal consiglio non temendo vergogna? o malvagi consiglieri, che avete il sangue di così alta corona fatto non soldato, ma assassino, imprigionando i cittadini a torto, e mancando della sua fede, e falsando il nome della real casa di Francia!»

L’indignazione è uguale alla maraviglia del buon uomo. Come pensare che il sangue di san Luigi, un Real di Francia, fosse spergiuro e assassino?

Quando non ci era più il rimedio, si corse al rimedio, Dino fa sonare la campana grossa, che era un chiamare alle armi. Ma nessuno uscì. La gente sbigottita non trasse di casa i Cerchi. Non uscì uomo a cavallo, nè a piè armato.

Anche il cielo vi si mescola. Apparisce una croce vermiglia sopra il palagio de’ Priori.