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e la gente stanca se ne andò, e ciascuno pensò a se stesso. E Dino cosa faceva? Dava udienza.
I Neri lusingavano e indugiavano i Bianchi con buone parole. Li Spini diceano alli Scali: «Deh! perchè facciamo noi così? Noi siamo pure amici e parenti e tutti guelfi; noi non abbiamo altra intenzione che di levarci la catena di collo, che tiene il popolo a voi e a noi. E saremo maggiori che noi non siamo. Mercè per Dio, siamo una cosa, come noi dovemo essere». Quelli che riceveano tali parole, s’ammollavano nel cuore, e i loro seguaci invilirono. I ghibellini, credendosi abbandonati, si smarrirono, e gli sbanditi si avvicinavano alla città. Come farli entrare? Carlo instava presso la Signoria, perchè si desse a lui la guardia della città e delle porte: che farebbe de’ malfattori aspra giustizia. E sotto questo nascondea la sua malizia, nota l’arguto Dino. Ma l’arguto Dino gli dà la guardia delle porte d’Oltrarno! Bisogna proprio sentir lui:
«Le chiavi gli furono negate, e le porte di Oltrarno gli furono raccomandate, e levati ne furono i fiorentini e furonvi messi i francesi. E il cancelliere e il maliscalco di messer Carlo giurarono nelle mani a me Dino riceverle per lo comune. E mai credetti che un tanto Signore e della casa reale di Francia rompesse la sua fede: perchè non passò piccola parte della notte che per la porta che noi gli demmo in guardia, die’ l’entrata a molti sbanditi.»
Fatta la breccia, entrano gli altri. E i signori, venuta meno tutta la loro speranza, deliberarono quando i villani fossero venuti in loro soccorso, prendere la difesa. Che era quel prender tempo e non risolversi degli animi deboli. Furono vinti senza combattere. Tutti si gettarono là dov’era la forza.
«I malvagi villani gli abbandonarono. I famigli li tradirono. Molti soldati si volsono a servire i loro avver-