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Alfine Dino si risolve ad accomunare gli uffici, parlando umilmente e con grande tenerezza dello scampo della città. Ma era troppo tardi. I Neri non volevano parte, ma tutto.

«E Noffo Guidi parlò e disse: Io dirò cosa che tu mi terrai crudele cittadino. E io li dissi che tacesse: e pur parlò, e fu di tanta arroganza, che mi domandò che mi piacesse far la loro parte nell’ufficio maggiore che l’altra; che tanto fu a dire, quanto disfà l’altra parte, e me porre nel luogo di Giuda. E io li risposi che innanzi io facessi tanto tradimento, darei i miei figliuoli a mangiare ai cani.»

Carlo volea in mano i Signori, e li facea spesso invitare a mangiare. E quelli si ricusavano, adducendo che la legge li costringea che fare non lo potevano; ma era perchè stimavano che contro a loro volontà li avrebbe ritenuti. Un giorno disse che in Santa Maria Novella fuori della terra volea parlamentare, e che piacesse alla Signoria esservi. Dino vi mandò tre soli de’ compagni, a’ quali niente disse, come colui che non volea parlare, ma sì uccidere.

«Molti cittadini si dolsono con noi di quella andata, parendo loro che andassono al martirio. E quando furono tornati, lodavano Dio, che da morte gli avea scampati.»

Volevano, se la Signoria vi fosse ita tutta, ucciderli fuori della porta e correre la terra per loro. E Dino che facea?

C’è un brano stupendo, che è una pittura. Vedi come Dino passava i giorni; la sua incapacità e i suoi affanni. «I Signori erano stimolati da ogni parte. I buoni diceano che guardassero bene loro, e la loro città. I rei li contendeano con quistioni. E tra le domande e le risposte il dì se ne andava. I baroni di messer Carlo gli occupavano con lunghe parole. E così viveano con affanno.»