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nosceano uomini deboli e pacifici, i quali sotto spezie di pace credeano leggiermente di poterli ingannare. Che buono Dino! Egli stesso pronunzia la sua sentenza.

I Neri a quattro e a sei insieme, preso accordo fra loro, li andavano a visitare e diceano: Voi siete buoni uomini e di tali avea bisogno la nostra città. Voi vedete la discordia de’ cittadini vostri; a voi la conviene pacificare, o la città perirà. Voi siete quelli che avete la balìa, e noi a ciò fare vi profferiamo l’avere e le persone di buono e leale animo. E benchè di così false profferte dubitassero, credendo che la loro malizia coprissero con falso parlare, pure Dino per commessione de’ suoi compagni rispose: «Cari e fedeli cittadini, le vostre profferte noi riceviamo volentieri, e cominciar vogliamo a usarle: e richieggiamvi che voi ci consigliate, e pogniate l’animo a guisa che la nostra città debba posare». Che scellerati! e che buoni uomini! Non si può meglio rappresentare la malizia degli uni e l’innocenza degli altri. Scrivendo dopo i fatti, Dino si picchia il petto, e dice il mea culpa: E così perdemmo il primo tempo, perchè non ardimmo a chiudere le porte nè a cessare l’udienza ai cittadini. Demmo loro intendimento di trattar pace, quando si convenia arrotare i ferri».

Poichè si trattava la pace, i Bianchi smessero dalle offese, e i Neri presero baldanza. E Dino confessa questo primo effetto della sua bontà: «la gente, che tenea co’ Cerchi, ne prese viltà, dicendo: non è da darsi fatica, chè pace sarà. E i loro avversarii pensavano pur di compiere le loro malizie!».

La voce che Bonifazio VIII si fosse chiarito contrario a’ Cerchi, e che Carlo di Valois veniva in Firenze, dovea aver tanto imbaldanzito i Neri, che a costoro pareva un atto di debolezza e di paura quello che in Dino era ispirato da sincero amore di concordia. E quelle prati-

 De Sanctis ― Lett. Ital. Vol. I 9