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in disinganno, e ciascuna volta rivela la sua ingenuità con un accento di maraviglia e d’indignazione. Immaginatevelo alle prese con Bonifazio VIII, Carlo di Valois, e Corso Donati, ciò che di più astuto e violento era a quel tempo. L’energia del sentimento morale offeso è il secreto della sua eloquenza. Qui non ci è nessuna intenzione letteraria; la narrazione procede rapida, naturale, sino alla rozzezza. Vi è un materiale crudo e accumulato e mescolato, senza ordine o scelta o distribuzione; ignota è l’arte del subordinare e del graduare; mancano i passaggi e le giunture; il fatto è spesso strozzato; spesso il colorito è un po’ risentito e teso: difetti di composizione gravi. Pure le qualità essenziali che rendono un libro immortale, stanno qui dentro, la sincerità dell’ispirazione, l’energia e la purità del sentimento morale, la compiuta personalità dello scrittore e del tempo, la maraviglia, l’indignazione, il dolore, la passione del cronista, che comunica a tutto moto e vita.

In tempi meno torbidi, Giovanni Villani scrisse la sua cronaca di Firenze sino al 1348, continuata dal fratello Matteo e dal nipote Filippo. Mira a dar memoria de’ fatti, pigliandoli dove li trova, e spesso copiando o compendiando i cronisti che lo precessero. Sono nudi fatti, raccolti con scrupolosa diligenza, anche i più minuti e familiari, della vita fiorentina, come le derrate, i drappi, le monete, i prestiti: materiale prezioso per la storia. Ma questa cruda realtà, scompagnata dalla vita interiore che la produce, è priva di colorito e di fisonomia e riesce monotona e sazievole.

La cronaca di Dino e le tre cronache de’ Villani comprendono il secolo. La prima narra la caduta de’ Bianchi, le altre raccontano il regno de’ Neri. Tra’ vinti erano Dino e Dante. Tra’ vincitori erano i Villani. Questi raccontano con quieta indifferenza, come facessero un inventario. Quelli scrivono la storia col pugnale. Chi si appaga della