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Henrici VII, in dodici libri, de’ quali alcuni sono in versi esametri. Fece epistole, egloghe, elegie, e due tragedie, l’Achilleis e l’Eccerinis. Quest’ultima rappresenta la tirannide di Ezzelino, creduto per la sua ferocia figlio del demonio, e la vittoria de’ Comuni collegati contro di lui. È narrazione, più che azione, come ne’ Misteri, un narrare serrato e nervoso, le cui impressioni patetiche e morali sono espresse dal Coro. Sotto a quel latino ossuto e asciutto palpita l’anima del medio evo. Senti una società ancor rozza, selvaggia negli odii e nelle vendette, senza misura nelle passioni, poco riflessiva, di proporzioni epiche anche in forma drammatica. Il carattere di Ezzelino non è sviluppato in modo che n’esca fuori un personaggio drammatico. Egli rimane ravvolto nel suo manto epico, come Farinata. È figlio del demonio, e lo sa e se ne gloria, e opera come genio del male, con piena coscienza: ciò che gli dà proporzioni colossali. Invoca il padre, e dice:

«Nulla tremiscet sceleribus fidens manus;
Annue Satan, et filium talem proba.»

E quest’uomo rimane così intero e tutto di un pezzo: manca l’analisi, senza di cui non è dramma. Il concetto della tragedia è più morale che politico, quantunque il fatto sia altamente politico, rappresentando la lotta tra i comuni liberi e i tirannetti feudali. Certo, in Mussato c’è il guelfo e ci è il padovano, che l’ispira e l’appassiona. Ma il motivo tragico è affatto morale. Ezzelino è punito non perchè offende la libertà, ma perchè opera scelleratamente, e qui gladio ferit, gladio perit: ciò che è in bocca al Coro la conclusione del fatto:

Consors operum
Meritum sequitur quisque suorum.»