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nella realtà della vita, nel vero giardino dell’arte. Perchè questi uomini non ragionano, non disputano, e di rado citano: la loro dottrina va poco al di là della Bibbia e de’ santi Padri: ma narrano quel medesimo che si rappresentava ne’ misteri, vite, leggende e visioni, e sono narrazioni più vive e schiette, che non i Misteri del quattrocento, raffazzonamenti degli antichi, con più liscio, ma dove desideri la purità e semplicità delle prime ispirazioni.
Gli scrittori son tutti frati, ed hanno le qualità degli uomini solitarii, il candore, l’evidenza, e l’affetto. Hanno l’ingenuità di un fanciullo che sta con gli occhi aperti a sentire, e più i fatti sono straordinarii e maravigliosi, più tende l’orecchio e tutto si beve: qualità spiccatissima ne’ Fioretti di san Francesco, il più amabile e caro di questi libri fanciulleschi. L’immaginazione concitata dalla solitudine presenta gli oggetti così vivi e proprii, che vengon fuori di un getto, non solo figurati, ma animati e coloriti, caldi ancora dell’impressione fatta sullo scrittore. Nel quale l’affetto è tanto più vivace e impetuoso e lirico, quanto la sua vita è più astinente e compressa: quasi vendetta della natura, che grida più alto, dove ha più contrasto. Non ci è in queste prose alcuna intenzione artistica, nessun vestigio di studio, o di sforzo, o di esitazione, o di scelta; manca soprattutto il nesso, la distribuzione, la gradazione. Ma si conseguono tutti gli effetti dell’arte che nascono da movimenti sinceri e gagliardi dell’immaginazione e dell’affetto, e n’escon pagine animate, e potenti assai più sul tuo spirito che non tanti romanzi moderni. Cito fra l’altro la storia di Abraam romito, che prende veste e costume di cavaliere mondano, e mangia pane e beve vino ed usa nelle taverne per convertire la sua nipote Maria. Il suo incontro con Maria nella taverna, gli allettamenti lascivi di costei, la sua sorpresa e vergogna quando nel bel cavaliere scopre