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fu visto da un santo uomo ratto in ispirito starsi al sommo d’una scala lunghissima, che ergevasi illesa tra le fiamme e si perdeva giù nell’inferno. Su ciascuno scalino stava uno degli antenati del Conte, con quest’ordine, che quando alcuno moriva di quella famiglia, doveva occupare il primo gradino, e colui che vi giaceva e tutti gli altri scendevano di un grado verso l’abisso dove tutti l’uno appresso l’altro si sarebbero riuniti. E chiedendo il santo uomo come fosse dannato il Conte, che avea lasciata in terra buona fama di sè, si udì una voce rispondere: Uno degli antenati, di cui il Conte è l’erede in decimo grado, tolse al beato Stefano un territorio nella Chiesa di Metz; e per questo delitto tutti costoro sono involti nella stessa dannazione. Questa pena, che colpisce un’intera generazione, è molto poetica, mostrando l’inferno nel sublime d’un lontano indeterminato, messo costantemente innanzi all’immaginazione de’ condannati, che a grado a grado vi si avvicinano insino a che non vi caggiano entro: come quel tiranno che voleva che le sue vittime sentissero di morire, il terribile prete vuole che ei sentano l’inferno.

Da queste visioni e misteri e prose e poesie si sviluppa questo concetto: che attaccarsi a questa vita come cosa sostanziale, è il peccato; che la virtù è negazione della vita terrena, e contemplazione dell’altra; che la vita non è la realtà, ma ombra e apparenza di quella; che la vera realtà è non quello che è, ma quello che dee essere; ed è perciò la scienza, o la verità; come concetto, e come contenuto, è l’altro mondo, l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso, il mondo conforme alla verità e alla giustizia.

Appunto perchè l’individuo è pulvis et umbra, e la realtà è pura scienza ed un di là della vita, questo mondo resiste ad ogni sforzo d’individuazione e di formazione. Lo stesso amore, così possente, non ci può gittare un po’ di calore, e non ci vive se non come figura e imma-