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48 | Storia della Letteratura Italiana. |
piaceva, e agli errori loro nuovi errori aggiugnevano e tenebre a tenebre. Ma non lascian perciò di esser degni di lode i loro sforzi; e ai loro errori stessi dobbiamo l’aver finalmente in molte cose scoperta la verità. Chi delle opinioni di Senofane volesse più esattamente sapere, vegga il diligente Bruckero1, presso del quale la vita ancora e le opinioni vedrà minutamente esposte de’ più celebri discepoli di questo illustre Filosofo, quali furono singolarmente Parmenide, Zenone diverso dallo Stoico, e Leucippo, tutti nativi di Velia, benchè a quest’ultimo altra patria da altri si assegni.
XIII.
Opinioni singolari di Dicearco.Io passo leggiermente per le ragioni già arrecate sulle opinioni di questi antichi Filosofi. Ma io penso, che quelli fra’ moderni Filosofi, che col nome di liberi Pensatori voglion essere onorati, e che si danno il vanto di aver diradate le tenebre, fra cui la superstizione e l’ignoranza avea finora tenuti i popoli miseramente involti, mi sapran grado, se un de’ loro più antichi e più perfetti modelli additerò loro in Sicilia; acciocchè si vegga, che, come l’Italia è stata comunemente alle altre nazioni in presso che tutte le scienza Maestra e scorta, così pure l’abuso delle scienze medesime ha avuto in essa cominciamento, almen per riguardo a’ popoli d’Europa. Io parlo del celebre Dicearco di Messina. Uomo non vi ebbe forse nella antichità, che tante scienze cogli studj suoi coltivasse, quante ne coltivò Dicearco. La Geografia, la Musica, la Filosofia, la Storia, la Poesia furono, si può dire, ugualmente a lui care. Su ciascheduna di queste scienze scrisse de’ libri; e in tal fama ne venne, che Cicerone non dubitò di chiamarlo uomo grande e maraviglioso. O magnum hominem! mirabilis vir est2. Ma quali erano i sentimenti di questo divino Filosofo? Quello, che dicesi animo umano, esser un bel nulla. Tenemus ne, dice Tullio, quid animus sit? denique sit ne? an, ut Dicæarcho visum est, ne sit quidem ullus3? e quello, che dicesi animo, non essere veramente dal corpo in alcun modo distinto. Dicæarchus autem, dice lo stesso Tullio, in eo sermone, quem Corinthi habitum tribus libris exponit... Pherecratem quemdam differentem inducit, nihil esse