Pagina:Storia della letteratura italiana - Tomo I.djvu/427

IV. L’Architettura per ultimo ebbe ella ancor tra’ Romani i suoi coltivatori, e forse per numero e per valore più che le altre due Arti. Già abbiam di sopra nominati coloro, che de’ Precetti di quest’arte scrissero in Roma; i quali ancora è probabile, che in essa si esercitassero. Plinio non ci ha di questa favellato distintamente, come della pittura e della scultura, e più si è trattenuto in descrivere i superbi e regali edificj d’ogni maniera, che negli ultimi anni della Repubblica e ne’ primi della Monarchia eransi innalzati in Roma, che nello svolgere l’origine e i progressi di quest’arte. Nondimeno possiam raccogliere quanto basta ad intendere, che questa, come dicemmo, forse più che le altre arti fu da’ Romani coltivata felicemente. Noi non veggiamo, che alcun Pittore o Scultore Romano sia stato chiamato in Grecia a qualche lavoro; ma il veggiam bene degli Architetti. Vitruvio ci narra18, che Antioco Epifane Re della Siria, volendo condurre a fine il tempio di Giove Olimpico, che in Atene era stato già da Pisistrato incominciato, fece a tal uopo venir da Roma un Architetto nomato Cossuzio. Anzi Vitruvio si duole, che non si fosse trovata memoria alcuna da Cossuzio scritta su questo argomento, e nulla pure si avesse scritto da Cajo Muzio, uomo di grandissimo sapere in Architettura, il quale avea innalzati i Tempj dell’Onore e della Virtù presso i Trofei di Mario. Ariobarzane ancora Re della Cappadocia, volendo rifabbricare il celebre Odeo di Atene, che nel tempo dell’assedio, di cui Silla avea stretta quella Città, era stato distrutto, usò di due fratelli Architetti Romani, cioè di Cajo e di Marco Stallio19. Egli è vero, che il Winckelmann conghiettura20, che nell’operare di questi due Principi avesse gran parte il desiderio di adulare e di compiacere a’ Romani; il che certo è probabile. Ma ciò non ostante, se valorosi Architetti essi non fossero stati, non pare, che prescelti gli avrebbono ad opere così famose, perciocché a vergogna lor propria sarebbe tornato, se il lavoro non fosse riuscito a quella bellezza e a quella magnificenza, che si conveniva21.