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leggermente tinto nella letteratura4 . Il nome non era molto onorevole, e pare, che degni di molta stima non fossero la più parte degli antichi Gramatici. Ma col decorso del tempo ottennero maggior fama. Perciocché presero ad insegnare ancora i principj della Rettorica, e l’uso di quelle figure, che a’ giovani sogliono insegnarsi, acciocché in tal modo potessero i lor discepoli passare già bastevolmente istruiti alle scuole de’ Retori5 . Le declamazioni ancora, comeché propie fosser de’ Retori, furono da’ Gramatici nelle loro scuole introdotte, e in esse così felicemente si esercitarono alcuni di loro, che dal tenere scuola passarono a perorare nel foro, e di Gramatici divennero Oratori6
- e talun di essi venne in sì grande stima, che i più ragguardevoli Cittadini Romani, quando
doveano pubblicamente arringare, a lui ricorrevano, perché scrivesse lor le Orazioni; come essere avvenuto a L. Elio raccontano Cicerone7
e Svetonio8
, da’ quali egli è appellato uom dotto e nelle Greche e nelle Latine lettere eruditissimo. Esaminavano essi ancora, quali fosser le vere, quali le supposte opere degli Autori, e quali i passi per frode o per ignoranza in esse intrusi, e li correggevano secondo il bisogno. Di tutti questi e di altri somiglianti impieghi de’ Gramatici veggasi Quintiliano, che ne ragiona colla consueta sua esattezza e riflessione9 , e tra’ moderni Giannernesto Emanuele Walchio nelle due Diatribe de Arte Critica Veterum Romanorum stampate in Jena gli anni 1748 e 1749. Intorno poi alla maniera da essi tenuta nell’insegnare veggasi la Dissertazione di Giovanni Oliva De antiqua in Romani scholis Grammaticorum disciplina stampata in Venezia l’anno 1718, e una Diatriba di Gian Giorgio Walchio De variis modis literas colendi apud Romanos inserita ne’ suoi Parerghi Accademici.
II. Né i soli fanciulli andavano alle scuole de’ Gramatici ad apprendervi i primi semi della
Letteratura, ma spesso ancora vedevansi le loro scuole da’ più grandi e da’ più dotti uomini di Roma onorate, e chiamati erano ad ammaestrare i figliuoli de’ primarj Patrizj e degli Imperadori. Così Cicerone