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hanno nondimeno errato non poche volte nel rapportare i lor sentimenti. Ma rimettiamoci in sentiero.
XXX. A questa prima introduzione degli Orologi Solari in Roma alluse scherzevolmente
Plauto, quando nella Commedia intitolata Bœotia, di cui un frammento ci è stato conservato da Gellio114, così fa parlare un Parasito: Ut illum Dj perdant, primus qui horas reperit, Quique adeo primus statuit hic Solarium, Qui mihi comminuit misero articulatim diem. Nam me puero uterus hic erat Solarium Multo omnium istorum optimum & verissimum, Ubi iste monebat esse, nisi cum nihil erat. Nunc etiam quod est, non estur, nisi Soli lubet. Itaque adeo jam oppletum est oppidum solariis; Major pars populi avidi reptant fame. 189 Nel qual luogo, benché fingasi, che il Parasito ragioni in un borgo della Beozia, chiaro è nondimeno, che il Poeta allude all’uso di Roma, ove è probabile, che a somiglianza del primo altri Orologi Solari fosser poi disegnati. Di fatti Plauto fiorì verso la metà del sesto secol di Roma, e poté perciò introdur sulla scena un uomo dolentesi degli Orologi verso la fine del secolo precedente introdotti in Roma, i quali egli dice, che alla fame ancor pretendevano di dar legge e misura. Vuolsi qui però avvertire, che di due sorte eran l’ore presso i Romani, naturali le une e di ugual misura tra loro, le quali dagli Orologi Solari venivano regolate; le altre civili e tra loro ineguali, perciocché sempre in dodici ore dividevano il giorno non men che la notte; e quindi in tempo d’inverno brevissime erano le ore diurne, lunghissime le notturne, e al contrario in tempo di state. In non fo che accennar queste cose, le quali al mio argomento propiamente non appartengono; che non de’ costumi de’ Romani io ragiono, ma delle loro scienze. Si possono consultare molti de’ moderni Scrittori, e quelli singolarmente, che sono stati inseriti nel Tomo X della gran Raccolta delle Antichità Romane, i quali trattano presso che tutti dell’anno, del giorno, e dell’ore de’ Romani. Quanto agli oriuoli ad acqua, che abb