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al Meridiano di Catania, e posto alla ventura nel Foro di Roma, dovesse esattamente segnare le ore. Videro con maraviglia, che la cosa non riusciva; e forse crederono, che gli Iddii fossero con loro sdegnati, perché da Catania trasportato avessero quell’orologio. Certo, come Plinio dice, per novantanove anni niuno vi ebbe, che pensasse a correggerlo, o a sostituirne un migliore. Finalmente l’anno 590 essendo Censore Q. Marcio Filippo, questi uno più esatto ne fece formare, e vicino all’altro il pose, di che il popolo fu sommamente lieto. Ma l’orologio era tale, come necessariamente doveva, che, se il Sole si stava ascoso tralle nubi, i Romani non potevan conoscere, qual ora corresse; finché l’anno 595 Scipione Nasica Censore cominciò ad usare degli orologi ad acqua. Tutto ciò da Plinio.
XXIX. Non posso qui dissimulare gli errori, che a questo luogo ha commessi il Montucla113
, il quale allega questo medesimo passo di Plinio, ma ne travolge il senso per modo, ch’io non so intendere, come uno Scrittore sì dotto e diligente, quale ei si mostra, abbia potuto in poche linee radunar tanti falli. Plinio reca le due diverse opinioni di Fabio e di Varrone, il primo de’ quali attribuisce a Papirio, l’altro a Messala il primo orologio Solare; e il Montucla dice, che Messala sostituì l’orologio preso in Catania a quel di Papirio. Plinio dice, che questo poco esatto orologio durò annis undecentum; e il Montucla traduce undici anni. Plinio dice, che Q. Marcio Censore l’anno 590 ne formò uno più esatto: e il Montucla trasmuta il Censore in Console, e l’anno 590 nell’anno 275. Plinio finalmente dice, che nel prossimo lustro, cioè cinque anni dopo, Scipione Nasica cominciò ad usare gli orologj ad acqua; e il Montucla cambia il lustro in un secolo, dicendo, che circa un secolo dopo Scipion Nasica introdusse l’uso di detti Orologi. Io rilevo talvolta gli errori e le inesattezze de’ moderni Scrittori, non già per oscurarne la fama, che anzi io confesso di essermi delle erudite loro fatiche giovato assai, ma per mostrare, che a chi vuole esattamente saper di ciò, che appartiene agli antichi, troppo è necessario il consultare le stesse opere loro, e non fidarsi ciecamente all’autorità de’ moderni, i quali, benché uomini dotti,