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nto di Cicerone. Aggiungasi, che moltissimi fatti e moltissimi Autori vi si arrecano de’ tempi posteriori; che molte cose vi si raccontano dell’età stessa, a cui scrivea l’Alcionio; e che una gran parte del secondo Dialogo è indirizzata a confutare il libro di Plutarco della Vita illustre; talché, quando se ne voglian raccogliere tutti que’ passi, che a Cicerone poté involar l’Alcionio, appena se ne formeran poche pagine. Questo medesimo dunque rimarrà a dire, come abbiamo accennato, cioè che l’Alcionio abbiane alcuni periodi qua e là inseriti nella sua opera. Ma ciò a qual fine? O egli era uomo ad imitare nella sua Opera lo stile di Cicerone, e qual gloria venivagli da qualche picciola parte de’ libri de Gloria, che egli avesse inserita ne’ suoi, che tutti sarebbon sembrati di un medesimo stile? O non era uomo da tanto; e poteva egli forse sperare, che per qualche elegante periodo sarebbe paruta degna di lode l’opera tutta? O potea lusingarsi egli forse, che conosciuto non fosse il furto; e che molti non si accorgessero, non esser sue le penne, di cui andava adorno, benché forse non sapessero dire, a qual uccello fosser rapite? Come per ultimo assicurasi, che l’esemplare del libro di Cicerone, che egli avea, fosse unico veramente, e niun altro se ne potesse trovare in qualche altra Biblioteca?
XV. A me dunque non sembra punto probabile, che l’Alcionio si facesse reo di tal delitto; né
io leggendo il suo Trattato dell’Esilio vi scorgo quella diversità di stile, che vi ravvisava il Manuzio. Anzi, s’io debbo dire ciò che ne sento, tutto il libro dell’Alcionio a me sembra scritto con uno stile elegante per lo più e colto, ma che nondimeno troppo sia lungi dalla forza, dalla maestà, dall’eloquenza di Cicerone, il che in molti altri Scrittori di quel secolo parimenti si osserva. Io ne recherò qui un passo, cui certo non poté l’Alcionio togliere a Cicerone, e per cui io spero, che chiunque sa qualche cosa di stil Latino converrà meco nel medesimo sentimento. Così dunque, essendo caduto il discorso sul Re di Napoli Federigo, a cui di fresco era stato tolto il suo Regno, così, dico, di lui ragiona presso l’Alcionio il Cardinal Giovanni de’ Medici interlocutor principale di quel Dialogo: Invitus quidem hujus Regis mentionem feci, sed institutus de nostrorum Italorum calamitate sermo memoriam de tanto Rege refricavit. Fuit ille justis de caussis familiæ nostræ