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XII. Prima di passar oltre in questo argomento, due punti di Storia Letteraria ci si offrono qui ad esaminare, che ad esso appartengono, cioè le accuse date a due Letterati Italiani, Pietro Alcionio e Carlo Sigonio, tacciato il primo di aver soppressa l’Opera De Gloria di Cicerone fino a lui pervenuta. dopo essersi fatto bello de’ migliori passi di essa nel suo libro de Exilio, l’altro di aver dato alla luce un suo Trattato De Consolatione, fingendo che fosse quel desso, cui sappiamo, che da Ciceron fu composto nella morte della diletta sua Tullia. E quanto al primo è certo, che a’ tempi di Francesco Petrarca conservavasi ancora almeno un esemplare de’ libri de Gloria. Narra egli stesso assai lungamente32, in qual maniera eragli esso venuto alle mani, e come poscia l’avea smarrito. Raimondo Soranzo, ch’egli latinamente chiama Superantius, e il dice venerabile vecchio, in una copiosa sua Biblioteca avea i suddetti libri di Cicerone, e di questi insieme con alcuni altri fe dono al Petrarca. Questi aveali cari soprammodo, e stimavasene ricco non altrimenti che di un tesoro. Quando quel Convenevole da Prato, che eragli stato Maestro ne’ suoi primi anni, e che avealo sopra tutti gli altri discepoli amato sommamente e pregiato, glieli chiese in prestanza, fingendo di abbisognarne al lavoro di un’Opera, che meditava. Il Petrarca per gratitudine non glieli seppe negare. Dopo molti anni non udendone più novella, ne chiese al maestro più volte; il quale or con uno or con altro pretesto si andava schermendo. Pressato confessò finalmente, che stretto da povertà aveali dati a pegno. Avrebbe pur voluto sapere il Petrarca, in cui mani si fossero, pronto a riscattarli anche a danaro; ma il maestro per rossore non mai si condusse a nominarglielo, né quegli ebbe cuore ad usare più forti mezzi. Morì finalmente il Maestro in Toscana, mentre il Petrarca stavasene in Francia; e questi tentò poscia in vano ogni via per averne contezza, e per ricuperarli. D’allora in poi non si fece per lungo tempo menzione di questo libro. Abbiamo bensì una lettera di Beato Renano scritta al Pirckaimero l’anno 1531, dalla quale veggiamo, ch’egli si lusingava, che il detto Pirckaimero ne avesse