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IX. Nondimeno, esaminando attentamente ogni cosa, a me pare, che Cicerone inclinasse alle opinioni di una soda e verace Filosofia, quale dallo stesso lume della ragione ci viene insegnata. I sei libri della Repubblica, i quali a nostro gran danno si son perduti, sembra che fosser l’opera più di tutte cara al suo autore22, e in cui più chiaramente che in ogni altra spiegasse i suoi sentimenti. Or nel bellissimo frammento, che di essi ci è rimasto, intitolato il Sogno di Scipione, noi veggiamo l’immortalità dell’anima spiegata e confermata sì fortemente, che ci può essere un sicuro pegno de’ sinceri sentimenti di Cicerone. Alcuni altri passi ce ne han conservati Lattanzio e S. Agostino, che anche al più saggio tra’ Cristiani Filosofi potrebbonsi attribuire. Rechiamone un sol passo sulle legge di natura riferito da Lattanzio23, in cui vedremo i più importanti dogmi della Religion naturale maravigliosamente spiegati: Est quidem vero lex, dic’egli, recta ratio, naturæ congruens, diffusa in omnes, constans, sempiterna, quæ vocet ad officium jubendo, vetando a fraude deterreat, quæ tamen neque probos frustra jubet, aut vetat, nec improbos jubendo, aut vetando movet. Huic legi nec abrogari fas est, neque derogari ex hac aliquid licet, neque tota abrogari potest. Nec vero aut per Senatum aut per populum solvi hac lege possumus. Neque est quærendus explanator aut interpres ejus alius: nec erit alia lex Romæ, alia Athenis, alia nunc, alia posthac; sed & omnes gentes, & omni tempore una lex & sempiterna & immortalis continebit; unusque erit communis quasi magister & Imperator omnium Deus ille legis hujus inventor, disceptator, lator: cui qui non parebit, ipse se fugiet, ac natura hominis aspernabitur, atque hoc ipso luet maximas pœnas, etiamsi cetera supplicia, quæ putantur, effugerit. Veggasi inoltre il suo Trattato delle leggi, nel quale parlando egli col suo amicissimo Attico e con Quinto suo fratello non dovette certo usare di dissimulazione, veggasi, dico, con qual gravità egli parli di Dio, negando che nazione alcuna vi sia, la quale qualche notizia non abbia dell’Esser Supremo24

Nulla gens est neque tam immansueta,

neque tam fera, quæ non, etiamsi ignoret, qualem habere Deum deceat, tamen habendum sciat;