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son tali, che dallo stesso lume della ragione ci vengono insegnati; ma ciò non ostante, se questo non è da soprannatural lume rischiarato, appena è mai, che l’uomo arrivi con esso a chiaramente scoprirli; perché appena è mai, che nell’uomo abbandonato a sé stesso questo lume medesimo della ragione non sia dalle ree secondate passioni oscurato e poco meno che estinto. In tale stato d’oscurità e d’incertezza dovea trovarsi Cicerone; conoscere la falsità delle Filosofiche opinioni intorno la Religione; vedere, ma come da lungi, e involto in dense tenebre, il vero, che egli andava cercando; e non arrivare giammai ad accertare, qual cosa ei creder dovesse, e qual rigettare.

VII. In questa diversità di opinioni, in questo suo incerto ondeggiar di pensieri, l’unico

partito, a cui Cicerone dovea credere di potersi appigliare, era quello appunto, ch’ei prese, di non legarsi, per così dire, ad opinione alcuna determinata; ma di esaminar ogni cosa, di ponderar le ragioni d’ogni sentenza, e di astenersi dal pronunciar decidendo ciò, che si avesse a creder per certo, ma solo abbracciare come verisimile quell’opinione, che con probabili ragioni si sostenesse. Questo era il costume della Setta, che dicevasi Accademica. Cum Academicis, dice egli stesso18 , incerta luctatio est, qui affirmant, & quasi desperata cognitione certi, id sequi volunt, quodcunque verisimile videatur; nel che distinguevansi da altri più antichi Accademici, che a miglior ragione Sceptici avrebbon dovuto chiamarsi, i quali di ogni cosa volevano che si dubitasse, senza pur dire, qual opinione verisimile fosse o probabile. A questa Setta dunque si appigliò Cicerone, come egli stesso in più luoghi si dichiara, singolarmente ove dice19

Geram tibi morem, & ea, quæ vis, ut

potero, explicabo; non tamen quasi Pythius Apollo, certa ut sint ea & fixa, quæ dixero, sed, ut homunculus unus e multis, probabilia conjectura sequens. Ultra enim quo progrediar, quam ut videam verisimilia, non habeo. E altrove20

Sed ne in maximis quidem rebus quidquam adhuc inveni

firmius quod tenerem, aut quo judicium meum dirigerem, quam id quodcumque mihi simillimum veri videretur, cum ipsum illud verum in occulto lateat.

VIII.