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to. Stettero essi per alcun tempo nella Biblioteca di Silla, senza che fossero pubblicati; finché Tirannione Gramatico, il quale da Lucullo era stato condotto schiavo a Roma, insinuatosi nell’amicizia di chi ad essa presiedeva, ottenne di avergli in mano, ne fece copia, e gli emendò, come seppe il meglio. Passaron poscia alle mani di un altro Greco Filosofo detto Andronico da Rodi, che era in Roma a’ tempi di Cicerone, il quale pure nuove diligenze adoperò a correggerli, e a riempire i voti, che vi erano ancora rimasti; e ne moltiplicò gli esemplari, perché le opere di questo illustre Filosofo fosser pubbliche in Roma. Tuttociò si può vedere più ampiamente presso il Bruckero3 , e presso il Bayle4 , i quali questo punto di Storia hanno diligentemente esaminato, raccogliendo, e confrontando insieme i passi degli antichi Scrittori, che ne favellano. Vuolsi però avvertire, che anche verso il fine della vita di Cicerone, quando egli scriveva il suo libro de’ Topici, non erano molto conosciuti i libri di Aristotile; perciocché egli, dopo aver riferito, che un Retore detto avea di non saper nulla delle opere di questo Autore, soggiugne: Di che io non mi fo maraviglia, che questo Filosofo noto ancora non fosse a questo Retore, poiché egli agli stessi Filosofi, tranne assai pochi, non è ancor conosciuto5 .
III. Questo divolgamento de’ libri d’Aristotile recò al nome di quel Filosofo gloria non
ordinaria; e quindi fu egli con tante lodi celebrato da Cicerone, il quale dovette essere uno tra’ primi ad averne contezza, e che uomo il chiama d’ingegno presso che divino6 , e a tutti i Filosofi, trattone solo Platone, in ingegno e in esattezza superiore7 . Intorno a che due cose mi sembran degne di riflessione. La prima si è, che i Romani furono quelli, per mezzo de’ quali celebri si rendettero e conosciuti gli scritti di questo illustre Filosofo; poiché Tirannione e Andronico invano avrebbonli diseppelliti e corretti, se non avessero trovati i Romani inclinati a’ Filosofici studj, che gli accogliessero volentieri, e coll’usarne e col disputarne li rendesser