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che vennero dopo, non vollero essere imitatori, ma nuove bellezze e nuovi ornamenti vi vollero aggiugnere, e con ciò essi le fecero decadere da quella perfezione, a cui eran salite. Lo stesso dee dirsi dell’Eloquenza. Mi si dia un Oratore perfetto, in cui la forza del sentimento sia congiunta alla grazia dello stile, la facondia alla precisione, la coltura e la eleganza alla chiarezza e alla semplicità; che tutte insomma abbia quelle virtù, che in un Oratore sono richieste. Se un altro gli venga dietro, e voglia giugnere a una perfezione ancora maggiore, questi verrà ad essere Orator vizioso. Una maggior facondia diverrà nojosa e languida prolissità; una maggior precisione diverrà un gergo misterioso ed oscuro; una maggior eleganza diverrà un affettato raffinamento; una chiarezza per ultimo e una semplicità maggiore verrà degenerando in umiltà e bassezza. Nelle Arti Liberali solo adunque e nel loro progresso ha luogo la linea curva, nella quale, ove uno sia giunto alla più alta cima, non può andar oltre senza ricadere al basso. Or questo è appunto, s’io non m’inganno, ciò che accadde per riguardo all’Eloquenza. Aveala Cicerone condotta alla maggior perfezione, a cui fosse mai arrivata. Que’ che vennero dopo, se fossero stati paghi di seguirne le tracce, e solo si fosser prefissi di schivare qualche leggier difetto, in cui egli era caduto, sarebbono stati essi pure perfetti Oratori. Ma vollero andar oltre; vollero esser migliori di Cicerone; vollero condurre l’eloquenza a una perfezione ancora maggiore. Or che ne avvenne? Questa maggior perfezione non fu che il principio di un totale decadimento. Ripresero lo stile di Cicerone come troppo sciolto e diffuso; e cominciossi allora a introdurre quello stile tronco e conciso e oscuro e pieno di sottigliezze; il ripresero come non abbastanza elegante e colto, e si prese allora ad usare di parole e di locuzioni affettate; pensarono in somma di levarsi più in alto di Cicerone, e vennero a cadere più basso di assai73 .
XXVIII. Così spiegata