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ano allora autorità sempre maggiore, sale su’ rostri a ragguagliare il popolo di ciò, che dal Senato erasi decretato contro di Antonio. Appena egli comincia a parlare, il Popolo, che il rimira come il più fermo sostenitore della sua libertà, leva un alto grido d’applauso. Cicerone se ne compiace: prosiegue a parlare, e prosiegue a riscuotere applausi. Si vede, ch’egli ha in sua mano il muover il popolo a levar alto la voce, quando egli il voglia. Ne fa varie volte la pruova, e sempre l’ottiene, come si raccoglie dall’Orazione medesima, la quale ad ogni passo si vede interrotta dalle liete grida, con cui il popolo seconda, e favorisce i sentimenti del suo Oratore.

XIII. Ma questa sua eloquenza medesima gli fu fatale. Antonio da lui provocato ed offeso colle amare e sanguinose sue Filippiche rimase vincitor finalmente nella guerra civile seguita dopo la morte di Cesare. Collegatosi quindi l’anno di Roma 710 con Ottavio e con Lepido, tra l’infelice numero de’ Cittadini stati già suoi nemici, e da lui perciò dannati a morte, volle ad ogni modo, che Cicerone fosse il primo. Spettacolo più atroce di questo Roma non vide mai. Il capo e le mani di quell’Oratore, che tanti rei e la Repubblica tutta avea tante volte salvata, appese su que’ rostri medesimi, da’ quali avea egli spiegata la divina sua eloquenza. Il tirannico poter di Antonio e de’ suoi Colleghi non poté impedire, che tutta Roma non inorridisse a tal vista, e che col pianto universale non dimostrasse apertamente il dolore, che essa provava per la crudele uccisione di sì grand’uomo. Il nome di Cicerone fu sempre venerabile, per così dire, e sacro presso i Romani. Finché visse Augusto, pare, che gli scrittori di quel tempo appena osassero di favellarne con lode, poiché il lodar Cicerone era lo stesso che riprendere Augusto, il quale avevane permessa, o fors’anche voluta la morte. In fatti Livio, come raccogliamo da Seneca il Retore40, il quale qualche frammento ci ha conservato de’ suoi libri smarriti, Livio, dico, non avevane parlato con quella stima, che a tant’uomo pareva si convenisse, ma avea nondimeno confessato, che uomo grande egli era stato e ingegnoso e degno di eterna memoria, e tale insomma, in cujus laudes sequendas Cicerone laudatore opus fuerit. Ma