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232 | Storia della Letteratura Italiana. |
figlj. Alcuni moderni Autori allegati dal Freytag(4) hanno scritto, che Cornelia a grande e scelto numero di gioventù tenesse in Roma pubblica scuola. Ma di ciò, come osserva lo stesso Autore, non vi ha fondamento alcuno.
IV. Molti altri Oratori quai più quai meno famosi nomina Cicerone, de’ quali in poche parole forma il carattere, finché giugne a L. Crasso e a M. Antonio, de’ quali sembra che finir non sappia di celebrare le lodi; perciocché egli dice di essere persuaso, che fosser questi grandissimi Oratori, e che allora cominciassero i Romani ad uguagliare nell’eloquenza la gloria de’ Greci15. Fioriron essi ne’ primi anni di Cicerone, e Antonio fu Console l’anno di Roma 654, Crasso l’anno 658. Il carattere, che di essi fa Cicerone, come maravigliosamente rileva il lor valore, così grande idea ci porge dell’ingegno di chi seppe sì ben conoscerlo e divisarlo. Io qui non posso né interamente recare ciò, ch’egli dice delle lor lodi, che troppo a lungo mi condurrebbe, né ristringerlo in poco senza sminuir molto della gloria dovuta a sì celebri Oratori. Leggasi tutto quel passo, che certamente è degno di esser letto. Di Crasso e della sua morte seguita poco innanzi al cominciamento della guerra civile tra Mario e Silla parla egli ancor nell’Esordio del terzo libro dell’Oratore, che tutto è delle lodi di questo grand’uomo, e dove Cicerone a celebrare l’Eloquenza di Crasso dispiega maravigliosamente tutta la sua. Di M. Antonio, oltre ciò che a questo luogo ne ha Cicerone, parla egli ancor lungamente altrove16, e rammenta singolarmente, qual maravigliosa forza egli avesse nel commuovere gli affetti; e ne reca in pruova ciò, ch’egli aveva fatto nella difesa di Aquilio. Ecco per qual modo Cicerone introduce lo stesso Antonio a favellare di questo fatto, il qual passo reco io qui volentieri, perché e contiene uno de’ più necessarj precetti dell’Eloquenza, e ne somministra uno de’ più rari esempj. E piacemi di recarlo tradotto nel volgar nostro linguaggio secondo la bella, e coltissima traduzione, che di questi libri ha fatta, e pubblicata negli anni addietro il Signor Abate Giuseppe Antonio Cantova, acciocché quelli, a cui essa per avventura non fosse