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di Cartagine fecero i Romani, un libero e frequente commercio introdusse tralle due nazioni, gli Oratori Greci uditi con piacere, e letti con maraviglia da’ Romani, una lodevole emulazione risvegliarono in questi, e un vivo desiderio di pareggiarne la gloria. Auditis, dice Cicerone1, Oratoribus Græcis, cognitisque eorum literis, adhibitisque doctoribus, incredibili quodam nostri homines dicendi studio flagraverunt. Excitabat eos magnitudo & varietas multitudoque in omni genere causarum, ut ad eam doctrinam, quam suo quisque studio assequutus esset, adjungeretur usus frequens, qui omnium Magistrorum præcepta superaret. Erant autem huic studio maxima, quæ nunc quoque sunt, proposita præmia, vel ad gratiam, vel ad opes, vel ad dignitatem2. Così da tutti questi motivi portati allo studio dell’Eloquenza i Romani, non è maraviglia, che vi giugnessero a tal perfezione, che potesse destar timore ne’ Greci di esserne superati. La bellissima ed esattissima Storia, che Cicerone, come nel Capo antecedente si è detto, ci ha lasciato della Romana Eloquenza nel suo libro de’ celebri Oratori, fa che non mi sia qui necessario il distendermi a lungo. Tutti gli Oratori, che in Roma ebbero qualche nome, si trovano ivi annoverati, di tutti si forma il carattere, se ne rilevano i pregi, non se ne tacciono i difetti. Così ci fosser rimaste alcune delle migliori loro Orazioni; che noi potremmo in esse vedere i principj e i progressi dell’Arte Oratoria, e i diversi generi d’Eloquenza, che a’ diversi tempi usati furono in