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220 Storia della Letteratura Italiana.

veggiamo, che Quintiliano parlando della Commedia mostra saggio discernimento ed animo imparziale, ben potremo credergli ancora, ove con sì grande lode egli parla di questa Tragedia. Altri Poeti Tragici e Comici son rammentati dal Vossio e dal Quadrio. Ma sembra, che Quintiliano gli abbia in conto di poco valorosi Poeti; poiché dopo aver nominata la Tragedia di Vario, un’altra sola ne rammenta di Ovidio intitolata la Medea, di cui dice, ch’essa ci fa conoscere, quanto egli avrebbe potuto fare, se avesse voluto moderare anziché secondare troppo l’ingegno. Delle altre, che a questa età appartengono, non fa motto. Lascerem dunque noi pure di far menzione de’ loro Autori, rimirandoli come Poeti, da’ quali poco di gloria accrescer si possa alla Romana letteratura.

L. Due soli, che in un particolar genere di Poesia Teatrale si esercitarono, ebbero maggior fama che gli altri; cioè Decimo Laberio e Publio Siro scrittori di quelle Mimiche Poesie, di cui abbiamo altrove parlato. Vissero amendue a’ tempi di Giulio Cesare. Ma Laberio prima di Publio cominciò a rendersi celebre. Era egli di nascita Cavaliere; e perciò componeva bensì per suo e altrui trastullo de’ Mimi; ma facevali poscia da altri rappresentar sul Teatro. Cesare, quando era nel più alto stato di autorità in Roma, volle indurre Laberio a recitare egli stesso i suoi Mimi, e gli promise cinquecento mila sesterzj, ossia dodicimila cinquecento scudi Romani. Questa sì liberale offerta non 130 avrebbe forse determinato Laberio ad avvilire in tal modo il suo carattere; ma egli conobbe, dice Macrobio193, che le preghiere di un uomo possente sono comandi; e fu costretto ad ubbidire; ma non poté dissimulare lo sdegno, che perciò ardevagli in seno, e un prologo recitò pieno d’amari lamenti contro di Cesare, perché avesselo a ciò costretto. Esso ci è stato conservato da Macrobio194; e degni sono singolarmente di osservazione questi quattro versi:

Ego bis tricenis annis actis sine nota
Eques Romanus lare egressus meo
Domum revertar mimus: nimirum hoc die
Uno plus vixi, mihi quam vivendum foret.



(1) Satura, lib. II. cap. VII. (2) Loc eh.