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216 | Storia della Letteratura Italiana. |
ຶXLVI. Manilio fu il primo tra’ Latini, che le cose Astronomiche prendesse a scrivere in versi. Egli è vero, che il suo Poema assai poco ci può ora giovare ad apprendere l’Astronomia; ma egli scrisse ciò, che allora comunemente se ne sapeva. Lo stile da lui usato non può certo venire a 128 confronto con quello de’ migliori Poeti dell’età di Augusto. Nondimeno attesa singolarmente la difficoltà del suggetto, di cui prese a trattare, non lascia di avere a quando a quando gravità ed eleganza degna del tempo, a cui visse. Non tutto però ci è pervenuto il suo Poema; che cinque soli libri ne abbiamo, e pare che sei o sette ne fossero da lui composti; e oltre ciò il quinto libro ancora sembra imperfetto.
XLVII. Non minore oscurità s’incontra per riguardo a Fedro. Di lui appena trovasi menzione alcuna presso gli antichi scrittori; e pare, che Seneca il Filosofo non ne avesse contezza; perciocché egli parlando delle Favole di Esopo afferma, che i Latini non aveano finallora tentato componimenti di tal natura: Æsopeos logos intentatum Romanis ingeniis opus175. La risposta, che a ciò fanno alcuni, cioè che Seneca così favelli, perché Fedro fu straniero e non Romano, non è probabile; perciocché è evidente, che Seneca a questo luogo vuol dire, che favole in lingua Latina non si erano scritte ancora. E’ dunque miglior partito rispondere, che, qualunque ne sia la ragione, poté Seneca ignorare le favole e il nome di Fedro. Marziale176 e dopo lui Rufo Festo Avieno177, che fiorì a’ tempi di Teodosio e di Graziano, sono i due soli antichi autori, che ne favellino. Anzi que’ versi di Marziale, ove egli dice: Dic Musa, quid agat Canius meus Rufus. An æmulatur improbi jocos Phædri? pretende lo Scriverio178, che non possano intendersi in conto alcuno di Fedro, e gentilmente chiama privi di senno coloro, che pensano lui esser vissuto a’ tempi d’Augusto o poco dopo. Le ragioni da lui addotte si posson vedere presso il Bayle179, e presso il Fabricio180, che ne mostrano l’insussistenza. Di fatti