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Storia della Letteratura Italiana. |
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Ma forse fu questa una lusinga dell’esule infelice. Tiberio ancora non si lasciò piegare giammai alle preghiere d’Ovidio per non curanza, credo io, piuttosto che per isdegno. Quanto ancora egli sopravvivesse, non si può precisamente determinare. La Cronaca Eusebiana il fa morto l’anno quarto di Tiberio, cioè l’anno di Roma 770., e sessantesimo di sua età. Ma non ve ne ha monumento alcun più sicuro. Della penna, ossia dello stile di argento usato già da Ovidio, e mostrato da Isabella Regina d’Ungheria circa l’anno 1549. a Pietro Angelio, di cui parla il Ciofano1, e del sepolcro dello stesso Poeta scoperto in Sabaria sulla Sava, io lascerò che parlin coloro, a cui non manchi il tempo per confutare tutte le favole puerili, che in alcuni libri si leggono. Più utile sarà, io spero, il trattenerci alcun poco sull’indole e sul carattere delle Poesie di Ovidio.
XLIII. Io non so, se tra’ Poeti abbiavi alcuno, che in vivacità e leggiadria d’ingegno a lui si possa paragonare. Quando egli narra o descrive alcuna cosa, pare che l’abbia sotto degli occhi, e qual egli la vede, tale la rappresenta a chi legge, sicché sembri a lui pure di averla presente allo sguardo. Qual narrazione più bella, più tenera, più passionata di quella del volo d’Icaro e di Dedalo, della morte di Piramo e di Tisbe, della cena di Filemone e di Baucide, e di tante altre, che frequentemente s’incontrano ne’ libri delle Metamorfosi! Qual affetto, qual grazia non si ritrova in molte delle lettere da lui chiamate Eroidi! E han ben saputo giovarsene i moderni Poeti, e l’Ariosto singolarmente, il quale nell’incomparabil racconto di Olimpia e di Bireno tante cose ha imitate dalla lettera di Arianna a Teseo presso Ovidio, che non sol la sostanza del fatto, ma i sentimenti ancora ne ha in più luoghi espressi felicemente. Qual copia di vaghe e leggiadrissime immagini ci offre egli ad ogni passo in tutte le sue Poesie! Due difetti però si oppongono con ragione ad Ovidio; la poca coltura nella espressione, e il soverchio raffinamento; difetti cagionati amendue dalla stessa sua non ordinaria felicità d’ingegno. Questa gli apre sempre innanzi agli occhi nuove immagini; egli si affretta a dipingerle; e il primo colore, per così dire, che gli viene alle mani, quello egli usa ad ornar-
- ↑ In Vit. Ovid.