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208 | Storia della Letteratura Italiana. |
nio154, che men fu egli sensibile alla morte che all’infamia de’ suoi; che, quando venne a risapere le disonestà della figlia, trasportato dallo sdegno, per mezzo di un Questore ne diè avviso al Senato; e che quindi tal vergogna ne ebbe, che per lungo tempo si astenne dal trattar con alcuno; che gli venne anche in pensiero di ucciderla; e che avendo verso quello stesso tempo saputo, che Febe una delle liberte di Giulia e complice delle sue sceleratezze si era colle proprie mani strozzata, disse, che avrebbe amato meglio di esser padre di Febe che non di Giulia; innoltre, che a questa vietò di usare del vino nella sua relegazione, e di ogni ornamento della persona; e che non permetteva, che alcuno, fosse libero o schiavo, andasse senza sua saputa a trovarla. Somigliante cosa ci narra Seneca ancora155, ed aggiugne, che Augusto, dopo aver palesate al Senato le disonestà della figlia, pentissi di aver così fatta pubblica la sua infamia: Deinde cum interposito tempore in locum iræ subisset verecundia, gemens quod non illa silentio pressisset, quæ tamdiu nescierat, donec loqui turpe esset, exclamavit: Horum mihi nihil accidisset, si aut Agrippa aut Mecænas vixisset. Da tutto ciò noi veggiamo, quanto geloso fosse Augusto, che l’infamia de’ suoi non venisse a farsi palese, e di qual vergogna lo ricoprissero i lor delitti, quando venivano a pubblicarsi. Uomo per altro non troppo onesto egli stesso ne’ suoi costumi, onestissimi avrebbe voluti tutti quelli di sua famiglia; il che ancora si scorge dal metodo da lui tenuto in allevarli, che narrato è da Svetonio156. Quindi le loro scostumatezze trafiggevanlo altamente, e niuna cosa aveva più in orrore che l’infamia, che a lui perciò ne veniva.
XXXIX. Ciò presupposto io penso, che la cagion principale dell’esilio di Ovidio fosse l’aver egli sorpresa improvvisamente Giulia la nipote d’Augusto nell’atto di commettere alcuna di quelle disoneste azioni, per cui ella pure fu dall’Avolo rilegata. Veggiamo, come tutte le circostanze felicemente concorrono a comprovare questa opinione. Giulia fu rilegata, come si è accennato, verso il tempo medesimo, in cui Ovidio, cioè circa l’anno 760. Tacito in fatti ne pone la morte sotto il Consolato di Giu
(1) Tn Auguft. e. LXV. (j) In Augufto cap. LXIV. (2) De Beneficia lib. VI. cap. XXXII.