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202 | Storia della Letteratura Italiana. |
Carmina cum primum populo juvenilia legi,
Barba resecta mihi bisve semelve fuit:
Moverat ingenium totam cantata per Urbem
Nomine non vero dicta Corinna mihi134.
Dunque in età già avanzata pagò egli la pena di quelle Poesie oscene, che giovane avea composte; e questo basta a farci conoscere, che non furono esse la vera, o almen la sola cagione del suo esilio; poiché non avrebbe Augusto indugiato tanto a punirlo. La vera, o certo la principal cagione di esso convien dunque cercarla nel fallo, ch’egli oscuramente accenna. Ma qual fallo fu questo? Osserviamo attentamente gli altri passi, in cui Ovidio ne parla.
XXXIII. Ovidio primieramente ripete l’origine della sua sventura dall’aver voluto troppo innoltrarsi nella familiarità co’ Grandi; perciocché scrivendo ad un suo amico lo esorta a tenersene lungi, il che se avesse egli fatto, non sarebbe forse in esilio:
Usibus edocto si quidquam credis amico,
Vive tibi, & longe nomina magna fuge.
Vive tibi, quantumque potes prælustria vita:
Sævum prælustri fulmen ab arce venit.
Hæc ego si monitor monitus prius ipse fuissem,
In qua debebam, forsitan Urbe forem135.
Dice in secondo luogo, che era bensì stato fallo ed errore quello, per cui trovavasi in esilio, ma non già delitto, e che da quel fallo non avea egli preteso di trarre vantaggio alcuno: Hanc quoque, qua perii, culpam scelus esse negabis, Si tanti series sit tibi nota mali136 . E in altro luogo parlando all’ombre de’ suoi Genitori:
Scite precor caussam (nec vos mihi fallere fas est)
Errorem jussæ, non scelus, esse fugæ137
. E altrove:
Nil igitur referam, nisi me peccasse; sed illo
Prœmia peccato nullam petita mihi138.
Aggiugne ancora, che la sua colpa era stata cagionata da errore
pri<t) Ib. lib. IV. El. X. (4) Ib. EI. X.
(2) Ibid. lib. III. EL IV. (5) Lib.IH.Trift.ELVL
(3) Lib. IV. Trifl El. IV.