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Parte III. Libro III. 201

passi di Ovidio, che avrò allegati. Proporrò per ultimo una opinione, che non so, che da altri sia stata ancora proposta; non perché io voglia sostenerla per vera, ma solo per soggettarla all’esame degli eruditi, e perché essi possano giudicare, qual fondamento ella abbia.

XXXII. E in primo luogo è certo, che due furono le ragioni, per cui Augusto il condannò all’esilio, cioè i versi osceni da lui composti, e un fallo da lui commesso, del qual fallo però Ovidio dice di non voler far motto, per non rinnovarne il dolore ad Augusto:

Perdiderint cum me duo crimina, Carmen, & Error,
Alterius facti culpa silenda mihi;
Nam tanti non sum, renovem ut tua vulnera, Cæsar,
Quem nimio plus est indoluisse semel.
Altera pars superest, qua turpi carmine lectus
Arguor obscœni doctor adulterii132.

Quanto agli osceni versi da lui composti, come è indubitabile, che molti pur troppo ei ne compose, onde non vi è forse tra gli antichi Poeti il più sozzo e il più disonesto, e come indubitabile è parimenti, che fu questo il motivo da Augusto allegato per condannarlo, poiché su questo singolarmente ei fa ad ogni passo le sue doglianze, così ancora pare evidente, che questo fosse un 121 apparente pretesto anzi che la vera ragione del suo esilio. Io non penso certo, che fosse Augusto tanto sollecito dell’onestà de’ Romani, che solo per versi osceni volesse rilegare Ovidio. Molti altri Poeti avrebbe egli dovuto per la ragione medesima cacciar di Roma; anzi se questo ne fosse stato il motivo, avrebbe egli dovuto sopprimere le Poesie, anzi che esiliare il Poeta; il che però non leggesi ch’egli facesse; e che nol facesse, cel persuade il vedere, che fino a noi esse son pervenute. Ma a che recar conghietture? Ovidio compose i libri d’amore in età ancor giovanile, e non fu dannato all’esilio, che in età di cinquant’anni, e, come egli si chiama, già vecchio:

Ergo quæ juveni mihi non nocitura putavi
Scripta parum prudens, nunc nocuere seni?133

E altrove:Tom. I. Ce Cor* (1) Lib.IL Trift. (2) Lib. IL Trift. • f