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170 | Storia della Letteratura Italiana. |
Così avesse egli trascelto un miglior sistema, ma si appigliò al peggior di tutti in ciò che appartiene a morale, cioè a quel di Epicuro, e quindi negò arditamente e Provvidenza e Dio, e nel piacere ripose tutta l'umana felicità. Il Bayle nondimeno, e dopo lui qualche altro scrittor moderno ne hanno voluto fare l'apologia, e osservano che egregie massime regolatrici del buon costume s'incontrano in questo poema, e che Lucrezio la sola superstizione e il ridicoloso culto di tanti iddii, quanti ve n'avea al mondo, ha voluto combattere. Ma che giovan le altre massime, se quella si Pregi e difetti del suo poema. toglie ch'è il fondamento di tutte, la religione? E uno che ogni divinità vuol toglier di mezzo, nè provvidenza alcuna ammette, nè alcuna vita avvenire, si può egli dire che alla sola superstizione dichiari guerra? A me però non appartiene l'entrare in controversie di tal natura, che dallo scopo di quest'opera son troppo aliene. Io osserverò in vece che noi dobbiamo a Lucrezio la tradizione di molte opinioni degli antichi filosofi, delle quali altrimenti non rimarrebbe forse memoria alcuna. E alcune cose ancora noi vi veggiamo felicemente spiegare in quella stessa maniera che da' più dotti filosofi de' nostri giorni si sogliono dichiarare. Odasi come fra le altre cose espone felicemente Lucrezio, e in modo, dice m. Dutens (Recherches sur les découvertes des Modernes t. I. p. 139), che farebbe onore al più sperimentato fisico di quest'età, la ragione della diversa velocità con cui cadono i corpi:
Nam per aquas quæcumque cadunt, atque æra deorsum,
Hæc pro ponderibus casus celerare necesse est:
Propterea quia corpus aquæ, naturaque tenuis
Æris haud possunt æque rem quamque morari,
Sed citius cedurit gravioribus exsuperata.
At contra nulli de nulla parte, neque ullo
Tempore inane potest vacuum subsistere rei,
Quin, sua quod natura petit, concedere pergat.
Omnia quipropter debent per inane quietum
Atque ponderibus non æquis concita ferri
(l. 2. v. 225 e