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Parte III. Libro II. 149


che avea una forza e varietà incredibile di ragionare, e che niuna cosa prese mai a sostenere nelle sue aringhe, cui non persuadesse, niuna a combattere, cui totalmente non atterrasse. Di lui raccontasi30, che avendo un giorno in presenza di Catone e di altri molti eloquentemente parlato in lode della giustizia, e i vantaggi mostrati, che ne derivano, il dì seguente per dar pruova del suo ingegno parlò con uguale eloquenza contro la giustizia medesima, e mostrò esser questa l’origine di gravissimi danni. Questa maniera di favellare, e questo genere di eloquenza sconosciuto fin allora a’ Romani, li sorprese talmente, che di altro quasi non parlavasi in Roma che de’ Filosofi Greci. Tutti i giovani, dice Plutarco31 , che vogliosi erano delle scienze, ad essi ne andarono, e udendoli rimaser sorpresi per maraviglia. Ma singolarmente la grazia di favellare, e la forza nulla minore di persuadere, che avea Carneade, avendo a lui tratti gli uditori in gran folla, per tutta la Città udivasene il nome, e pubblicamente diceasi, che il Filosofo Greco insinuandosi con ammirabil arte negli animi de’ giovani all’amor delle scienze gli accendeva, da cui quasi da entusiasmo compresi abbandonati tutti gli altri piaceri, volgevansi allo studio della Filosofia.

X. L’affollato concorso, che a’ ragionamenti de’ Greci Filosofi faceasi da ogni parte, l’universal plauso, con cui erano ascoltati, non piacque punto al severo Catone. Temeva egli, come dice Plutarco, che la gioventù Romana di questi studj invaghita non anteponesse alla militare la letteraria lode. E questo timore molto più segli accrebbe, quando avvertì, che anche nel Senato Romano cominciava ad entrare il genio della Greca Filosofia. Perciocché C. Acilio uomo assai ragguardevole ottenne di poter nel Senato ripetere latinamente que’ discorsi, che da’ Filosofi Greci uditi avea nella natia loro favella. Più non vi volle, perché Catone si risolvesse di rimandare onoratamente alle lor case questi tre a suo parere troppo perniciosi Filosofi. Venuto dunque in Senato prese a gravemente riprendere i Magistrati, perché permettessero, che uomini, i quali sì agevolmente potevano persuadere altrui checché loro piacesse, più lungamente si fermassero in Roma; doversi spedir quanto prima l’affare, per



(1) Quinti!, I XII. e, I. (2) Iu Càtorì. Ccnf. ^ 1