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cata a Firenze nella occasione del Concilio Ecumenico tenuto in quella città1.
Il ramo occidentale del Nilo esce da un lago vicino al golfo che si addentra nella costa occidentale del continente, ed alimentato da fiumi che discendono dalla parte più occidentale delle Montagne della Luna. Il fiume attraversa quindi, al nord dì queste montagne, una grande palude, popolata da coccodrilli. A mezzogiorno del capo Bojador sbocca in mare, per mezzo di due rami molto lontani l’uno dall’altro, un grande fiume formato da due corsi d’acqua, il primo dei quali esce da un lago situato nell’interno del Sahara, il secondo da una montagna che si innalza nel sud-est.
Nel disegno dell’Asia meridionale predomina l’influenza della Geografia Tolemaica. L’India anteriore non apparisce ancora nella sua forma peninsulare: l’India posteriore si avanza verso mezzogiorno come una penisola, corrispondente all’Aurea Chersoneso del geografo Alessandrino. Ma nell’Asia Centrale e Orientale il cartografo si appoggia specialmente alle informazioni di Marco Polo. Nell’estremo Oriente è disegnata una città, colla leggenda: «hinc regio quae catayum vel eorum lingua canbalec dicitur, dominatur magnus canis». Trovasi pure accennato il nome di Sine; in allora, come in tempi più moderni, si distinguevano adunque, nell’Asia Orientale, la Cina, alla quale si giungeva per la via di mare, e il Cathay, alla cui ccizione avevano specialmente contribuito i viaggi terrestri. Ad oriente di Sine si innalza un gruppo di isole colla leggenda: «Hae insule Jave dicte sunt, ultra has insulas nulla est amplius hominibus nota habitatio neque facilis nautarum transitus quoniam arcentur ab aere navigantes».
Il Mar Caspio è falsamente indicato col suo grande asse diretto da occidente ad oriente. Ad oriente di esso una zona montagnosa, conosciuta col nome di Ymaus mons, si sviluppa, con due catene principali, verso oriente e verso nord-est. Quest’ultima si estende sino al Mare Boreale, e termina ad un pro-
Hugues, Storia della Geografia, II. | 17 |
- ↑ Fischer, Op. cit., pag. 167; Hugues, L’Abissinia, pag. 58, nota 25.