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parola marteloio la tela o rete del mare, come pare potersi anche dedurre dalla espressione toleta del marteloio1; il Govi, infine, fa provenire la parola martilogium da martyrologium cioè quasi registro, elenco, calendario.
Il citato Desimoni spiega molto chiaramente l’uffizio che ha la tavola di cifre che i nostri navigatori dei secoli XIV e XV chiamavano col singolare nome di marteloio. «Il pilota, dovendo dirigere la nave alla sua meta, ha bisogno di conoscere ad ogni istante la posizione della stessa nave in mare; e se e come si avvicini o si allontani dalla via diretta. Il sole, la luna o la calamita colla rosa dei venti gli mostrano questa direzione secondo i 32 rombi o venti, che dividono l’area circolare in cui egli si trova; l’orologio di sabbia, la maggiore o minore gonfiezza della vela e la lunga esperienza lo istruiscono della velocità della nave misurata in miglia. Con questi due elementi per base (la direzione e la velocità) egli ricorre al marteloio, che gli presta un calcolo ingegnoso, e gli insegna di quanto la forza dei venti contrari lo ha allontanato lateralmente dalla sua meta (questo dicesi allargare) e di quanto ad ogni modo ha potuto progredire più o meno verso la meta stessa (avanzare). Che se il vento contrario cessi per dar luogo al favorevole, il marteloio gli insegna quanta via dee fare per rimettersi sulla diretta (ritornare) e quante miglia dovrà ancora impiegare per raggiungere la meta (avanzare di ritorno). Tutto questo è esposto in quattro colonne di cifre, fondate sulla ipotesi di una navigazione di cento miglia; egli non avrà che a sostituire nella scala uno degli elementi guadagnati colla sua osservazione particolare, per ottenere gli altri colla semplice regola aritmetica, detta del tre»2.
Andrea Bianco non è però il primo a dare notizia del marteloio. In Genova, tra i registri notarili dell’archivio conservasi