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negri condotti schiavi in Europa dai navigatori portoghesi che lo avevano preceduto colà, raccontavano essere molto abbondante di oro, il Cadamosto prese commiato dal principe di Budomel; e, mentre stava per salpare da quella costa, vide due vele in mare, alle quali appressandosi conobbe che una di esse era comandata dal genovese Antoniotto Usodimare, e l’altra da uno scudiero dell’Infante D. Enrico. Il medesimo scopo, quello cioè di «passare il capo Verde e provare la ventura» (come dice il Veneziano), unisce le tre navi, le quali, veleggiando di conserva, oltrepassano il capo Verde, e giungono, a’ 29 di giugno, all’isola Gorea. Il giorno seguente le navi pongono l’àncora alla bocca di un fiume detto dei Barbacini, a 60 miglia dal capo Verde; più lungi incontrano un altro fiume non inferiore, in grandezza, al Senegal, e quindi l’imboccatura di un gran fiume, della quale «giudicarono essere di tre a quattro miglia nel più stretto, e nella sua prima entrata di miglia sei in otto, ed opinarono essere la Gambra o Gambia tanto desiderata, e potersi trovare qualche ricetto fra terra per agevolmente procacciarsi buona ventura d’oro, e altre cose preziose». A tal proposito le navi entrarono nel fiume, ma gli indigeni, con molte barchette leggiere formate ciascuna di un tronco d’albero scavato, fattisi dintorno ai legni lanciarono tale quantità di freccie da rendere necessario l’uso delle bombarde e delle balestre portoghesi, che, uccidendo gran numero di assalitori, obbligarono i superstiti a precipitosa ritirata. Il Cadamosto e gli altri capitani volevano proseguire, ma le ciurme cominciando a tumultuare, fu necessario ritornare in Europa.

Le stesse cose si ritrovano in una lettera scritta da Antoniotto Usodimare nello stesso anno 1455. È la stessa lettera riferita più sopra (pag. 53), nella quale è alcuna notizia intorno alla sfortunata spedizione dei fratelli Vivaldi, e al Prete Gianni, il cui territorio principiava, secondo il navigatore genovese, a 300 leghe dalla costa occidentale d’Africa.

La relazione del Cadamosto contiene alcune indicazioni sul cielo australe, le quali però non mi paiono tali da farlo ritenere come uno degli iniziatori dei progressi dell’astronomia nau-